COSPE ADERISCE AL DOCUMENTO PRESENTATO DAL G(S)OTTO

COSPE aderisce alla Carta di Montevecchio, promossa dal G(S)Otto. Nel documento, presentato ieri, le realtà che hanno dato vita al Gsott8 “licenziano” i grandi perchè ritengono che il vertice del G8 che si riunirà la prossima settimana all’Aquila non sia il luogo legittimo dove discutere delle crisi globali.
Di seguito il documento:

CARTA DI MONTEVECCHIO
promossa dal GSOTTO
6 Luglio 2009
www.gsotto.org

PLEASE DON’T DO IT AGAIN! Spettabili G8, siete licenziati!

La crisi ecologica, economica, sociale e di civilizzazione a cui stiamo assistendo è il condensato di un sistema che ha visto il profitto e la competizione come valori trainanti. L’esaurimento delle risorse energetiche e naturali come l’acqua, il cambiamento climatico dovuto all’emissione di gas serra, l’aumento esponenziale delle persone che soffrono la fame, la dipendenza di interi paesi dall’importazione di beni alimentari, la scomparsa delle tradizioni locali, l’attacco ai diritti sociali e del lavoro: titoli generali che nascondono uno dei massimi punti di caduta di un modello di sviluppo insostenibile, che sta oramai incidendo sulla vita concreta di miliardi di persone.
Esistono però strategie e proposte concrete che i movimenti sociali stanno elaborando e sperimentando quotidianamente dal basso che mettono al centro la responsabilità delle persone, delle comunità e delle istituzioni, per mettere limiti alla capacità delle multinazionali e delle aziende di aggirare le loro responsabilità etiche e legali.
Esistono migliaia di pratiche alternative che nascono nei territori che parlano di economia locale e solidale, di sovranità alimentare, di produzione di nenergie sostenibili, di un’economia sganciata da fonti fossili, di un modo partecipato, orizzontale, democratico per decidere su un futuro comune.
Per questo, come organizzazioni che si sono riunite dal 2 al 6 luglio nell’estremo sud della Sardegna, non riteniamo che il vertice del G8 che si riunirà prossimamente a L’Aquila sia il luogo legittimo dove discutere di tutto questo. Troppo grandi le responsabilità nella costruzione di questo modello di sviluppo, nell’incapacità di prevedere le crisi attuali, nelle promesse mai mantenute per poter ridare legittimità ad un vertice che nei fatti ha perso ogni ragione d’essere.
Dal Sulcis ci rivolgiamo alla società civile globale, ai movimenti sociali perchè contribuiscano alla costruzione di un’agenda comune per le prossime mobilitazioni che accompagnino i movimenti verso la Ministeriale Wto di Ginevra e la Conferenza della FAO sulla sicurezza alimentare del prossimo novembre, il Summit sul clima di Copenaghen del prossimi dicembre, il Forum Sociale Mondiale di Cuzco del prossimo marzo ed il Forum Enlazando Alternativas 3 di Madrid di maggio.
Ci rivolgiamo ai governi di tutto il mondo perchè intervengano qui ed ora per mettere in campo strategie ed iniziative concrete per fronteggiare una delle crisi peggiori che la storia umana ricordi, che siano una radicale e sostenibile alternativa alle ricette del passato.

CRISI CLIMATICA, ENERGETICA E DI GESTIONE DELLE RISORSE NATURALI

La crisi climatica in cui il mondo è stato spinto è una crisi che continuerà a intensificarsi se non verranno intrapresi i passi decisivi necessari a fermare un sistema di consumo insostenibile e dipendente da un aumento dell’utilizzo dei combustibili fossili. C’è un percorso chiaro che il mondo deve intraprendere per affrontare la crisi climatica che viene suggerito dal buon senso e che consiste semplicemente nel mantenere i combustibili fossili sotto terra. Abbiamo trivellato la nostra strada fin dentro a questa crisi e continuare a trivellare non ci aiuterà ad uscirne.

Le radici della crisi climatica si trovano nella crisi energetica, nell’eccessivo consumo delle risorse naturali da parte del Nord del pianeta e delle elite di tutto il mondo, nei metodi di produzione che danneggiano e che implicano enormi sprechi e in una gestione delle risorse naturali fondamentalmente non-democratica e anti-sociale, che ha impedito sistematicamente alle comunit? locali di esercitare la propria sovranità sulle proprie risorse e sulle scelte di sviluppo che le riguardano.

La storia dell’industria estrattiva è coincisa con la storia dell’esplorazione del petrolio che ha superato i limiti della decenza. Ambienti fragili, riserve naturali, territori indigeni e aree di alta biodiversità non sono stati rispettati dalle multinazionali petrolifere e minerarie che hanno beneficiato di altissimi profitti senza pagare riparazioni e beneficiando dell’immunità loro garantita.

La resistenza delle comunità locali contro progetti minerari su larga scala e contro lo sviluppo dei combustibili fossili è parte della lotta storica contro il sistema economico neoliberista che continua a portare sofferenza e ingiustizia alle popolazioni. In molti casi, l’entrata aggressiva di esplorazioni minerarie su larga scala e di progetti energetici ha causato violazioni dei diritti umani e di altri diritti delle comunità locali, in particolare dei diritti delle popolazioni indigene e contro la natura. Queste violazioni dei diritti umani sono riflesse nello spostamento forzato fisico e culturale delle comunità locali, nella cattiva interpretazione o in un utilizzo sbagliato della richiesta di consultazione previa, libera e informata (FPIC), nella divisione delle relazioni sociali e nella perdita di territorio e di accesso alle risorse naturali.

Nessun accordo globale che fissi gli obiettivi di riduzione delle emissioni nel lungo termine potrebbe essere sufficiente ad affrontare l’emergenza climatica e le responsabilità di quelli che l’hanno generata. Il negoziato sul clima attualmente in corso non fa riferimento alla necessità di implementare politiche diverse sull’energia, i trasporti, la costruzione delle case, l’agricoltura e alla necessità di nuovi approcci anche in tutti gli altri settori della società. Il negoziato non chiede nemmeno che si consumi di meno, in particolare nei paesi del Nord. Il dibattito globale sul clima ci sta allontanando dal raggiungimento dell’obiettivo principale che ogni azione a riguardo dovrebbe avere, ossia di estrarre e consumare sempre meno combustibili fossili.

I paesi del Nord dovrebbero adottare cambiamenti drastici nei propri consumi e nello stile di vita, che ridurrebbero la domanda di energia e di materie prime. Questo eliminerebbe inoltre la pressione sui governi del Sud di destinare terra per lo sviluppo di progetti di estrazione mineraria su larga scala e per l’estrazione di combustibili fossili, riducendo il conflitto attuale sull’uso della terra. Allo stesso tempo una transizione radicale fuori dall’economia del petrolio fermerebbe i piani di costruzione di nuove grandi infrastrutture, come oleodotti, gasdotti, raffinerie e stazioni di trasporto legati all’industria petrolifera.

L’approccio del G8 per risolvere la crisi climatica rimane limitato e confinato all’ambito dei meccanismi di mercato e alla primazia del settore privato. Questo approccio ha gà dimostrato di essere fallimentare e di favorire solo l’accumulazione di profitto delle grandi multinazionali, non ripagare le riparazioni e i danni alle comunità e all’ambiente generati fino ad oggi e trascurare la trasformazione del loro business.

Reclamiamo politiche pubbliche per il bene comune! Il tempo sta scadendo, e non c’è più tempo per l’inazione o per imbarcarsi negli stessi viaggi che hanno portato il mondo nell?attuale crisi. Il dibattito sul clima deve essere riformulato. Azioni reali, quali allontanarsi dagli eccessi di consumi ? una delle strade da percorrere. E’ necessario riconoscere che la struttura dei mercati ha fallito miseramente sul fronte economico e finanziario e non può essere di aiuto nel contrastare i cambiamenti climatici. Il mercato del carbonio (carbon trading) non è la soluzione, ma rischia di esacerbare il problema.

I governi dovrebbero smettere una volta per tutte di promuovere gli interessi delle imprese e promuovere al contrario politiche pubbliche con l?obiettivo di sostenere un modello economico differente, centrato su un utilizzo sostenibile delle risorse naturali, sulla riduzione dei consumi, sui consumi principalmente per le produzioni locali, per proteggere l?ambiente e i diritti umani, inclusi i diritti delle comunit? direttamente impattate di scegliere come gestire le risorse dei loro propri territori.

Le risorse necessarie per finanziare questo cambiamento dovrebbero essere generate tramite un sistema di tassazione giusto, trasparente e progressivo. Al livello internazionale le risorse non dovrebbero essere allocate alle istituzioni finanziarie internazionali che stanno ancora sostenendo attività estrattive irresponsabili e lo sviluppo dei combustibili fossili in tutto il pianeta. Il cambiamento di stile di vita deve anche portarci a utilizzare in maniera sostenibile materiali locali in accordo con le realtà climatiche in tutti i settori produttivi della società, ivi compreso nella costruzione delle case. Questo implica semplici atti di riduzione dei rifiuti, di riutilizzo e di riciclo. Le tecnologie e le nuove pratiche non mancano di certo, la questione è di democrazie nell’accesso a queste e nel bisogno di politiche sociali giuste che garantiscano l’accesso a tutti in modo appropriato e in maniera democratica e controllata, mettendo al centro le comunità e il loro diritto di decidere quale sviluppo seguire nel rispetto della natura e dei diritti umani.
Una transizione urgente verso un’economia del dopo-carbonio è necessaria. Lasciare il petrolio non ancora estratto nel suolo, il carbone nelle miniere e le sabbie bituminose nel terreno è la strada giusta da percorrere ora. E’ tempo di pagare il debito ecologico che il Nord deve al Sud, che i ricchi devono ai poveri!

Il mondo ha bisogno di muoversi verso fonti energetiche rinnovabili, pulite e decentralizzate, e soddisfare i bisogni energetici non dovrebbe sovvertire la sovranità alimentare. Il mondo deve allontanarsi dall’agricoltura industriale ad utilizzo intensivo di combustibili fossili e sostenere piuttosto i piccoli agricoltori e gli approcci agro-ecologici che hanno dimostrato di esser più sostenibili e più produttivi dei semi geneticamente modificati e dagli altri che dipendono da input chimici artificiali. Il pensiero che gli agro combustibili sono fonti energetiche rinnovabili e che possano sostituire i combustibili fossili è sbagliata e ha già contribuito alla crisi alimentare, a violazioni significative dei diritti umani e ha portato a massicci sequestri di terreno, stimabili in 30 milioni di ettari di terreni nel Sud globale, nel tentativo di soddisfare le richieste di cibo e energia delle regioni più ricche. Questa è una nuova forma di colonialismo che il mondo non può permettersi. La lotta per la sovranità alimentare dovrebbe quindi andare mano nella mano con quella delle comunità per la propria sovranità energetica.

Dobbiamo resistere alla globalizzazione delle imprese. Creare movimenti con questo scopo è cruciale dal momento che seguiamo un’agenda comune per un futuro sostenibile, fondata sulla giustizia sociale, sulla giustizia economica e sulla giustizia ambientale. C’è bisogno di creare o di rafforzare le alleanze tra le comunità e di sostenere i gruppi che stanno lavorando sulla questione dell?estrazione mineraria su larga scala e sullo sfruttamento dei combustibili fossili.

Il coordinamento delle azioni a livello globale è necessario, visto che le compagnie estrattive e petrolifere e le maggiori imprese energetiche sono alcune delle pi? grandi e sofisticate strutture societarie, e hanno legami stretti con le istituzioni finanziarie internazionali e multilaterali. Gli incontri come il Gsotto e questi meccanismi per generare solidarietà internazionale sono importanti legami per le comunità locali per elevare le proprie lotte per un mondo più giusto e migliore che rispetti la natura e i loro diritti.

In ultimo, dichiariamo che il G8 non può decidere per il mondo. Le persone devono farlo!

CRISI ECONOMICA ED ALIMENTARE

Al World Food Summit del 1996 la Fao stimava che il numero delle persone che avevano fame fosse di 830 milioni, e per questo i Governi che vi avevano partecipato si impegnarono a dimezzarli entro il 2015. Oggi, e siamo al 2009, invece di 400 milioni – sempre secondo la Fao – sono oltre un miliardo le persone che non hanno niente da mangiare. L?Organizzazione internazionale del lavoro stima, per di più, che i 30 milioni di disoccupati in più che si registreranno al termine del 2009 rispetto al 2008 a causa della crisi, potrebbero diventare 50 milioni se le condizioni che l’hanno creata non verranno affrontate e cambiate al più presto. Con queste premesse gli Obiettivi del Millennio, che impegnavano i Governi a sconfiggere la povertà, saranno irraggiungibili. Ormai è chiaro a tutti che, contrariamente a quanto sostenuto fino ad oggi dal gotha della finanza e dell’economia mondiale, dalle Istituzioni Finanziarie Internazionali fino ai vertici del G8, quasi trent’anni di neoliberismo abbiano aumentato le disuguaglianze all’interno dei singoli Paesi e che quelle tra i cosiddetti Nord e Sud del mondo siano diminuite soltanto in apparenza. Le comunità locali sono rimaste sole con i propri problemi, e per questo hanno fatto i conti con la realtà e individuato, dal basso, soluzioni sostenibili per sopravvivere e per assicurare a se stesse e alle future generazioni un futuro migliore del proprio oggi. Quelle condivise dai partecipanti al Gsott8, esperti, attivisti, contadini, lavoratori e sindacalisti di tutto il mondo che si sono confrontati alla pari in due sessioni di lavoro aperte e molto partecipate dai cittadini sardi, sono storie di lotte e di scommesse vinte, in uno spirito di innovazione, di partecipazione democratica, di solidarietà.

Un’altra economia è possibile
Ai G8, ai G20, alle organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l?Organizzazione Mondiale del Commercio , e più già fino all’ultima autonomia locale, non basterà promettere o spendere altri nostri soldi in aiuti, cooperazione, sussidi o aiuti al commercio se non cambieranno con decisione l’impostazione politica dei propri interventi. Tutte le pratiche e le esperienze internazionali e locali positive che si sono confrontate in questi cinque giorni di lavoro in Sardegna, poggiano su quei pilastri sui quali le organizzazioni sociali e contadine hanno costruito il diritto alla sovranità alimentare che comincia ad essere adottato anche da alcuni Governi che, consapevoli della necessità di proteggere la loro agricoltura, li hanno inseriti all’interno delle loro costituzioni:

Produrre per le persone, significa porre il diritto al cibo, ai beni e ai servizi essenziali al centro delle politiche, abbandonando l’idea che siano merci come tutte le altre.
Non tutto si può produrre, non tutto si può comperare. “Le persone prima dei profitti” e “Questo mondo non è in vendita” sono gli slogan condivisi rilanciati dal Gsott8. Molti paesi in tutto il mondo, a Partire dall’America Latina, stanno inserendo alcuni di questi principi nelle propri Costituzioni.
Valorizzare e adottare misure di protezione per salvaguardare i contadini, i piccoli produttori e i lavoratori di questi settori: rifiutiamo tutte quelle politiche, azioni o programmi che possano colpirli, minacciarli o pregiudicarne una vita dignitosa. L’intervento pubblico di salvataggio delle banche dimostra che ? necessario e possibile continuare a far vivere, con scelte politiche specifiche, misure di protezione, aiuti, fondi dedicati e uno spazio negli acquisti pubblici, i soggetti economici e sociali strategici. Noi, tuttavia, pensiamo che è arrivato il momento di indirizzare quei fondi con decisione all’agricoltura familiare, alla rilocalizzazione dei sistemi di produzione e alle piccole e medie imprese, le iniziative associative e comunitarie e dell’economia solidale che imbocchino con decisione la strada della giustizia sociale, salariale e della sostenibilità.
Ricostruire spazi locali di produzione e di consumo
Le nostre esperienze -alcune ormai cinquantennali – come l’agricoltura biologica a filiera corta, l’agricoltura urbana, il consumo critico,i Gruppi d’acquisto solidali, le migliori esperienze di commercio equo che si vivono come leva per la costruzione di benessere locale, servono ad avvicinare consumatori e produttori, saltando i passaggi di intermediazione e la concentrazione della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), riappropriandosi di spazi di produzione e vendita locale e rifiutando politiche, pratiche e strutture di governo che dipendano da e promuovano un commercio internazionale iniquo e insostenibile, dando sempre più potere a multinazionali irresponsabili.
Bisogna controllare democraticamente e localmente i territori e le loro risorse, le terre, l’acqua, i pascoli, i semi, le scorte e tutte le materie prime, rifiutandone la privatizzazione attraverso leggi, contratti commerciali e regimi di diritti basati sulla proprietà intellettuale.
Le lotte per l’accesso alla terra, per il diritto all’acqua per tutti, la conservazione e l?autoproduzione dei semi, la selezione contadina delle specie e la conservazione di quelle tradizionali, la protezione della biodiversità proprio come la promozione delle capacità tecniche e artigianali locali, liberano i piccoli produttori dalla schiavitù della filiera unica, restituendo loro, come nelle migliori esperienze dell’agricoltura contadina multifunzionale, della piccola e media produzione, protagonismo e responsabilità.
– Rispettiamo l’ambiente e affrontiamo i cambiamenti climatici
E’ possibile sostenendo modelli di produzione agroecologica, di riuso e di utilizzo di materie prime biologiche anche nel tessile, e in tutti i settori alimentari e non alimentari, che massimizzino le funzioni degli ecosistemi, la loro capacità di rigenerazione e adattamento. Bisogna rifiutare modelli di produzione e consumo ad alto costo energetico e ritrovare il gusto dell’autoproduzione.
Bisogna continuare a battersi per il pagamento di un prezzo equo per i produttori, di un salario giusto per i lavoratori e contro la precarizzazione delle relazioni di scambio e di lavoro che indeboliscono la capacità organizzative dei soggetti sociali. N una parte del mondo le organizzazioni sindacali e sociali hanno una grande tradizione, ma la precarizzazione del lavoro è un’arma che costringe tutti i lavoratori a trasformarsi in auto-promotori della propria schiavit?. Noi rifiutiamo questa logica, condividiamo la proposta di ragionare e reimpostare la lotta per l?occupazione a partire dal concetto di limite del pianeta proposto dalle organizzazioni sindacali pi? avanzate, e sosteniamo le campagne di pressione e le mobilitazioni dei lavoratori e della societàcivile per i propri diritti, in tutte le forme democratiche organizzate. – Possiamo garantire accesso al credito promuovendo, a partire dai consumatori e dalle imprese sociali e solidali, meccanismi di prefinanziamento delle produzioni e di finanza solidale, capace di emancipare produttori e lavoratori dagli interessi sui crediti concessi da istituti privati, spesso freno ad una crescita armonica e ad un consolidamento delle attività economiche.
Il debito è una forma antica e moderna di schiavitù. Dai suicidi dei contadini indiani che non riescono a saldare gli acquisti di semi, fertilizzanti e pesticidi, alla crisi dei mutui, ai fallimenti delle piccole imprese in crisi, le banche sono le uniche vincitrici (profumatamente sussidiate) nella catena dell?indebitamento. Molti Paesi in crisi, per di più, stanno vedendo crescere nuovamente il proprio tasso di indebitamento con l’estero. Questa è una dinamica che va fermata.

Bisogna garantire trasparenza e tracciabilità delle produzioni e degli scambi
Pratiche come quelle del prezzo trasparente e del prezzo sorgente, dove ogni pezzo del prezzo finale è chiaro a chi finisca in tasca, insieme all’acquisto in azienda e alla relazione diretta con i produttori attuata dai consumatori critici, e poi le ricerche e alle azioni che ci aiutano ad approfondire la “biografia” dei prodotti, servono per permettere ad ogni singolo cittadino di poter selezionare i propri acquisti sulla base di informazioni verificate e verificabili. Con l’idea, però, che se un prezzo è troppo basso c’è qualcun altro che non conosciamo, un lavoratore, un produttore sfruttato, un contadino alla fame, che lo sta pagando.

Conclusioni
 Il modello di produzione e commercio orientato all’esportazione e l’attuale struttura dei mercati agricoli internazionali caratterizzati da un’estrema volatilità dei prezzi che mette in difficoltà i piccoli produttori, sono le principali cause della crisi e non certo la via maestra per trovare le soluzioni.
Costruire il mercato interno, sia locale sia regionale, significa ripristinare l’adozione di misure di protezione che siano capaci di assicurare tutela alle economie in crescita, ai piccoli produttori e alle piccole aziende locali, ridando centralità alle politiche pubbliche a livello regionale.
Il governo delle produzioni a livello globale, regionale, nazionale e locale deve garantire la sovranità alimentare, la sicurezza alimentare, la partecipazione democratica dei produttori, piccoli contadini, lavoratori, senza terra, popoli indigeni, donne e giovani e non solo del capitale transnazionale e delle èlite di potere nazionale.
Per questo le organizzazioni sociali, contadine, le organizzazioni sindacali e le reti della società civile e delle economie solidali che hanno dato vita al Gsott8, si danno appuntamento a Roma e a Ginevra tra novembre e dicembre prossimi e chiamano cittadini, movimenti e tutta la società civile del mondo a unirsi nella mobilitazione e lottare per ribadire queste proposte in occasione del nuovo Vertice FAO sulla sicurezza alimentare e della prossima Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, perch? si risponda alla grave crisi in corso con misure efficaci e non con le solite, vecchie, promesse.

CRISI DI CIVILIZZAZIONE E RICERCA DI NUOVI PARADIGMI

La somma della crisi ecologica, climatica, finanziaria, economica, sociale, politica, democratica e culturale evidenzia una vera e propria crisi di sistema. Il modello di sviluppo in cui viviamo si è fondato sulla dissipazione delle risorse naturali, sulla disconnessione fra essi umani e madre terra, sull’accumulazione a beneficio di pochi e sullo sperpero, sulla sfruttamento di esseri viventi e della natura, sulla svalutazione della dimensione comunitaria, delle culture originarie e dei diritti collettivi a favore dell’omologazione. Il percorso civilizzatorio che è stato egemone nei secoli sta oggi dimostrando la sua insostenibilità.
Per costruire una alternativa, oltre alle resistenze per difendere i diritti e la dignità di tutti e tutte e del pianeta, serve immaginare un progetto nuovo, una nuova visione di futuro. Bisogna farlo con rigore, affrontando le contraddizioni e i punti critici. Bisogna farlo insieme e continuando a camminare, perchè solo dalla contaminazione fra i diversi punti di vista e dalle esperienze concrete possono venire gli elementi di un pensiero credibile e universale. Bisogna farlo con urgenza, mentre già oggi la catastrofe ambientale getta un’ombra scura sulle prospettive di sopravvivenza della terra e della specie umana.
Dalla crisi che stiamo vivendo le comunità umane possono uscire in modo differente. E’ possibile che dentro la crisi ritrovi senso la politica come regolazione nonviolenta dei conflitti orientata a un progetto di bene collettivo, che si rinnovino i valori di giustizia sociale e la solidarietà. E’ anche possibile però che si scateni la lotta per la sopravvivenza e la guerra fra poveri, alimentata dai poteri forti attraverso una grande capacità di esercitare egemonia culturale legata ai disvalori del consumismo, dell’individualismo, della competizione. Così come è all’ordine del giorno una possibile gestione della crisi che investe grandi risorse pubbliche per mitigare i suoi effetti più dirompenti senza intaccare le ragioni strutturali della devastazione ecologica e sociale.
Soffriamo nel continente europeo l’assenza di un progetto politico culturale alternativo all’altezza dei tempi. Sentiamo il bisogno di un confronto aperto, non ideologico, profondo, solidale con esperienze diverse, capaci di guardare alla nostra situazione dall’esterno e capaci di renderci più consapevoli dei processi sui quali si è costruita, nel bene e nel male, la nostra storia e la nostra cultura.
Il G-Sotto appena chiuso in Sardegna mostra come le culture, la storia, i saperi locali già forniscano delle strade per costruire un progetto di futuro dal basso, fatto dalle comunità locali, dalle loro diversità che devono essere considerate bene comune -custodi della biodiversità e della diversità culturale, dalla riconnessione necessaria fra umani e natura, dalla ri-localizzazione di economia, democrazia, politica in una dimensione includente, solidale e globale, dalla giustizia climatica come necessità per una vera e piena giustizia sociale. Istituzioni e Stato vanno ripensati, a partire dalle suggestioni sullo stato plurinazionale che ci vengono dalle nuove costituzioni latino-americane e dalle elaborazioni dei rappresentanti dei Popoli senza Stato.
Pensiamo che la fase di transizione verso nuovi paradigmi civilizzatori vada realizzata nel concreto delle nostre comunità, affrontando senza timore le contraddizioni e le difficoltà culturali, sociali ed economiche che segnano la nostra epoca, prima fra tutte quella che pare contrapporre il diritto al lavoro e la dignità dei lavoratori ai diritti dell?ambiente. Il concetto di “buen vivir” che propone un modello di vita fondato su nuovi parametri di benessere ci pare assai utile per superare la contrapposizione, ancora profondamente segnata da parametri quantitativi, fra crescita e decrescita. Nessuno deve essere più costretto a scegliere fra morire di fame o di tumore, fra la disoccupazione e il lavoro in industrie inquinanti, come accade in Sardegna e in mille altri luoghi del pianeta.
La storia e la realtà attuale della Sardegna sono un paradigma di un modello di sviluppo fondato sulla negazione delle identità dei popoli, sulle rapina delle risorse naturali e dei beni comuni, sulla devastazione ambientale, sulla colonizzazione di territori sfruttati e abbandonati a seconda delle convenienze.
Il progetto di un futuro diverso si fonda sulla capacità di uomini, donne e comunità di riprendere in mano in proprio destino, imparando a non considerare come dono quello che spetta come diritto, imparando a non baciare più la mano che li strangola.
Il G Sotto è  stato una tappa del Forum “Crisi di Civilizzazione e ricerca di nuovi paradigmi”, un ‘pensatoio globale itinerante‘ promosso dalle organizzazioni indigene, dalla rete dei popoli senza stato, da organizzazioni sociali, associazioni e intellettuali di diverse parti del mondo, che ha iniziato il suo cammino a Belem, nell’ultima edizione del Forum Sociale Mondiale Questo percorso proseguirà nei prossimi mesi, in tanti territori differenti e includendo altri attori sociali, con laboratori locali diffusi che approfondiranno le tematiche generali e metteranno a fuoco diversi focus tematici.
Il 12 di ottobre si terrà  la Giornata di Mobilitazione contro la mercantilizzazione della vita e per la difesa della madre terra, come momento di convergenza verso la mobilitazione globale per la giustizia climatica in occasione della Conferenza Onu sul clima di Copenhagen,
L?anno prossimo dal 26 al 28 marzo, a Cuzco in Perù, le organizzazioni indigene ospiteranno il Forum Mondiale sulla Crisi di Civilizzazione, dove tutte queste esperienze convergeranno per dare vita a un grande laboratorio globale.