LONTANI DAGLI OCCHI – Intervista ad Andrea Segre

L’esclusione può essere sia fisica, dei respingimenti, sia mediatica, meno violenta ma altrettanto pericolosa?

“Credo che se si sia arrivati ai respingimenti è proprio grazie ad un processo lungo e ben sedimentato di esclusione sociale e mediatica. Un processo partito 10-15 anni fa, con la stereotipizzazione del migrante, il concetto mediatico di clandestino e i vari processi di criminalizzazione dell?immigrato. Un processo che si è fortemente sedimentato all’interno dell’opinione pubblica, tanto da rendere tollerabile l’idea che delle persone in mezzo al mare, in balia delle onde, in fuga da zone di guerra e di carestia, possano essere respinte con la violenza”.

Da “Come un uomo sulla terra” emergono fatti che la maggioranza delle persone ignorano. La percezione del fenomeno migratorio è deformata da un’assenza di informazione?

“Il processo di sedimentazione degli stereotipi di cui parlavo nasce dalla capacità di costruire una censura: sulla conoscenza dei processi migratori e sulla conoscenza delle persone come individui. Le persone che affrontano questi viaggi in rarissimi casi sono stati protagonisti attivi di racconti in prima persona, sono invece riprese dai media come gruppo indifferenziato di persone che rappresentano uno stereotipo, quello del clandestino. Oltre a questo c’è un’assenza ben precisa e organizzata di informazioni su quali sono le conseguenze delle politiche securitarie che il nostro governo, come molti altri governi europei, sta sviluppando. Nessuno lo ha mai raccontato, perchè  ciò che succede a sud di Lampedusa non è materia di informazione. L’informazione sull?immigrazione inizia con lo sbarco a Lampedusa, ma questo è solo il punto di arrivo di un fenomeno”.

Riguardo agli sbarchi, sembra che sia stata spostata la linea di confine del “campo visivo”: i migranti sono imprigionati nelle prigioni libiche o respinti direttamente in mare senza poter arrivare sulle coste italiane. Come se l’allontanare visivamente il problema significasse risolverlo?

“C’è una connessione tra il controllo dell’informazione e il controllo dei flussi di immigrazione, l’idea di respingere gli immigrati in mezzo al mare è collegata alla consapevolezza dell’assenza di immagini di questi respingimenti. E l’idea di affidare a paesi terzi come la Libia, dove non esiste libertà di informazione e di espressione, operazioni brutali di violazione dei dritti umani, come quelle che abbiamo raccontato di deportazione nei container e di condizioni disumane nei centri di detenzione, rientra in questa strategia”.

Il documentario è un’importante forma di informazione alternativa. Come si fa concretamente a realizzare e diffondere un’opera di questo tipo?

“La produzione e la distribuzione del film sono caratterizzate dall’orizzontalità. Il film è nato in un laboratorio interattivo con gli studenti della scuola di italiano che, attraverso il video, sono diventati protagonisti attivi di un percorso di raccolta, di racconto e di denuncia. Per la distribuzione, ribattezzata “civile”, siamo riusciti ad attivare la rete di contatti che avevamo come una rete capace di distribuire il film: oggi basta un proiettore, una sala e uno schermo decente per fare una proiezione. C’è stata una vera e propria adozione da parte della rete e il film ha iniziato a girare praticamente da solo. E questo in fondo è diventato un nuovo modo per distribuire un film, anche in modo sostenibile. Siamo arrivati a 400 proiezioni in tutta Italia, che vuol dire almeno 50-60 mila persone che vedono il film e diventano massa critica: una parte attiva e attivata di opinione pubblica che non accetta più quegli stereotipi che aveva all’inizio. Dopo la messa in onda del film (9 luglio 2009 su Rai 3 N.d.R.), e ancora di più dopo il programma di Iacona che trattava gli stessi temi in prima serata, ci aspettavamo una reazione politica e invece la scelta ? quella della censura silenziosa. Non siamo mai riusciti ad avere un confronto con qualcuno che potesse prendere le difese della scelta del trattato Italia Libia, una scelta ufficiale, appoggiata da diverse parti politiche ma che nessuno ha il coraggio di difendere confrontandosi pubblicamente.

Andrea Segre, laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna, è dottore di ricerca in “Sociologia: processi comunicativi delle politiche interculturali nella sfera pubblica”. Autore e regista di documentari legati a tematiche sociali con un focus particolare per le migrazioni, ha realizzato, a partire da “Lo sterminio dei popoli zingari” del 1997, numerosissimi documentari di approfondimento e denuncia sociale fino a “A sud di Lampedusa” (2006), di cui “Come un uomo sulla terra” (2008) rappresenta la prosecuzione ideale.