IN DIRETTA DALLA CAROVANA DELL’ACQUA – DIARIO DI VIAGGIO

E’ partita la Carovana dell’acqua in Palestina, per il diritto all’accesso all’acqua. Stiamo seguendo in diretta la Carovana grazie ad alcuni estratti del “diario di viaggio” inviato dalla giornalista di “Left” Paola Mirenda che, direttamente dai Territori, ci tiene aggiornati sulla situazione.

12 settembre 2011

La Valle del Giordano è un Giano bifronte che lascia sconcertati: da un lato le palme da datteri e le serre per frutta e verdura, dall’altro la terra secca e pietrosa del deserto. Ci arriviamo verso le nove del mattino, e la temperatura già supera i 40 gradi. La divisione non è opera della natura, ma impresa (dis)umana, il disegno di un tracciato netto tra chi ha il diritto all’acqua e chi non lo ha.

Situata in Territorio Palestinese Occupato, la Valle è al 95% sotto zona C, che secondo gli accordi di Oslo significa pieno controllo da parte di Israele. Ma la cooperazione prevista dal Trattato nei settori vitali come quello delle risorse energetiche e idriche non è mai stata attuata. Al contrario, le colonie ebraiche in territorio palestinese si sono moltiplicate a velocità cinque volte maggiore che negli anni Ottanta, sottraendo le risorse ai vecchi abitanti.

Il progetto dei coloni, appoggiato dal governo israeliano, è di fare della Valle un giardino con 4 milioni di palme: per ora ne hanno piantate un milione, il resto arriverà. Gli ottomila coloni presenti occupano, secondo i dati forniti dai Comitati popolari della Valle del Giordano (PSCC, Popular Struggle Coordination Committee) il 50% dell’area, e controllano tra l’80 e il 90 per cento delle risorse. Questa situazione ha fatto sì che dei 300mila palestinesi che abitavano la Valle fino al 1967 ora ne rimangano appena 60mila. A raccontarne la scomparsa ci pensano gli intervenuti alla Conferenza sull’acqua organizzata l’11 settembre dal PSCC e dalla Carovana nella sede del governatorato di Gerico, la pi? importante citt? della Valle e l’unica della regione ad essere considerata zona A, vale a dire sotto controllo palestinese.

Shaddad Al Attili, direttore della Water Authority – una sorta di ministero delle Risorse idriche dell’Autorità Nazionale Palestinese -, ricorda la distruzione di 120 dei 170 pozzi esistenti: ?Non abbiamo la possibilit? di costruirne di nuovi, perchè per ogni cosa ci vuole prima il permesso militare, poi quello civile da parte delle autorit? israeliane. Possono passare anni prima che vengano concessi, senza parlare poi dei permessi successivi: per portare il cemento, per fare le perforazioni, per le tubature…Intanto i pozzi che restano sono spesso inquinati”, spiega, “perchè ci è impedito di fare manutenzione, quindi c’è una forte presenza di minerali ma anche di residui degli scarichi. Abbiamo un fiume che era la nostra fonte, e non possiamo nemmeno più vederlo”. Il Giordano, che segna il confine con Amman, èterritorio proibito ai palestinesi, che vengono bloccati prima. Mentre il mar Morto, l’altra grande risorsa, rischia di scomparire nei prossimi vent’anni, se il ritmo del suo sfruttamento prosegue ai livelli attuali.

I palestinesi chiedono non solo l’equa suddivisione delle risorse, ma anche metodi diversi di coltivazione, non intensiva come quella attuale portata avanti dai coloni, ma a dimensione comunitaria, necessaria cio? a soddisfare i bisogni di tutti. ?Non possiamo accettare che un colono abbia 700 litri di acqua al giorno e un palestinese appena 60. Per coltivare un dunum (un ettaro circa, ndr) ne usano 450, per prodotti che sono esclusivamente destinati all’esportazione?. Lo ribadisce anche Hitham Kayadi, della Al-Karamch Foundation, associazione che organizza il boicottaggio dei prodotti dei coloni: “Non possiamo pagare due volte l’occupazione militare, prima con la perdita delle nostre terre coltivabili e poi comprando i loro prodotti. Non possiamo essere noi stessi a dare loro i soldi per continuare a farci del male”.

L’Autorità Nazionale Palestinese ha promulgato una legge che vieta l’acquisto di prodotti provenienti dalle colonie. Nella stessa normativa aveva inserito il divieto per i palestinesi di lavorare nelle colonie, per evitare il paradosso che i contadini a cui la terra era stata confiscata finissero a fare i braccianti dai loro “conquistatori”. Ma hanno dovuto ritirare l’articolo di legge. Qui lavoro non ce n’è, e per restare nel luogo dove si è nati quella è l’unica scelta.

Leggi della Carovana dell?acqua in Palestina

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