IN DIRETTA DALLA CAROVANA DELL’ACQUA – DIARIO DI VIAGGIO #4

E’ partita la Carovana dell’acqua in Palestina, per il diritto all’accesso all’acqua. Stiamo seguendo in diretta la Carovana grazie ad alcuni estratti del “diario di viaggio” inviato dalla giornalista di “Left” Paola Mirenda che, direttamente dai Territori, ci tiene aggiornati sulla situazione.

14 settembre 2011

“Pensavamo di poter fare come le tigri asiatiche, e invece abbiamo la fame. Non siamo nè l’India nè la Cina, siamo la Palestina”. Il ministro dell’Agricoltura Ismail Daiq ammette senza problemi gli errori fatti dall’Autorità Nazionale Palestinese: “Dopo gli accordi di Oslo abbiamo privilegiato il settore del turismo e quello dell’industria, senza capire che avremmo dovuto valorizzare quello che abbiamo di più importante: la nostra terra”.

Sono le dieci di sera e la Carovana è tornata a Gerusalemme dopo una giornata intensissima passata tra Jenin e i villaggi del nord della Cisgiordania. Stavolta non ci sono stati incontri nelle municipalità, ma si è andati direttamente nei campi e nelle fattorie, dove i danni prodotti dall’occupazione militare israeliana hanno lasciato il loro segno. Più ancora che nella Valle del Giordano qui si vede la differenza tra la terra in cui abitano i palestinesi e quella che gli è stata espropriata dai coloni ebraici, l’una desertica e l’altra verde e rigogliosa.

Da una parte l’acqua gettata a pioggia sulle coltivazioni, mentre dall’altro lato non ci sono nemmeno le tubature e i pozzi vengono distrutti. Nell’ultima settimana ne sono stati chiusi con la forza tre, lasciando a secco la popolazione. Oggi i dati ufficiali dicono che la produzione agricola palestinese rappresenta appena l’8% del prodotto interno lordo, “ma esiste una economia sommersa di cui non c’è traccia”, rileva Daiq. “Se contiamo quello che viene utilizzato a livello familiare e comunitario, siamo intorno al 25 per cento”.

Acqua e agricoltura: difficile immaginare due questioni più strettamente legate, e l’aridità a cui sembrano condannati ineluttabilmente i palestinesi ne è la testimonianza. “Il 90% del nostro fabbisogno alimentare è importato dall’estero”, sottolinea il ministro. “Acquistiamo fuori dalla Palestina la totalità delle carni bianche, il 60% dei prodotti caseari, il 40% della carne rossa. Se prima il rapporto export-import era di 4 a 1, ora è l’esatto contrario”. A limitare la possibilit? di vendere fuori dai confini i propri prodotti è ancora una volta l’occupazione militare, leit motiv su cui insistono tutti i nostri interlocutori. “Ogni discorso sui nostri bisogni diventa inutile se non si risolve il problema del dominio di Israele sulla Palestina”, ci dicono. Questo vale anche per il trasporto merci: è Tra la Cisgiordasnia e la Striscia di Gaza le relazioni sono limitate, perchè la Cisgiordania può esportare nella Striscia, ma l’inverso non è possibile. Al limite, si possono mandare prodotti da Gaza in Egitto, ma anche questo non “facile”, spiega Ismail Daiq.

Le merci palestinesi sono inevitabilmente più care, perchè il trasporto è una delle voci più consistenti nella formazione del prezzo finale. Un percorso di 40 chilometri si trasforma facilmente in un viaggio di sette ore, tra aggirare il Muro di separazione è che frantuma la Cisgiordania in decine di enclave e attendere al check point il permesso di passare dall’altra parte. “Così la frutta va tranquillamente a marcire prima di arrivare ai mercati”, sottolinea. “Per quanto io abbia cercato di parlare con il mio omologo israeliano, non siamo arrivati a nessuna soluzione concreta. Promesse tante, compresa quella di risolvere la questione della violenza dei coloni verso i nostri agricoltori, ma risultati zero”.

Così alla fine c’è stata la legge sul boicottaggio, che ha permesso che il consumo dei prodotti locali passasse dal 17 al 26 per cento. Non senza strascichi di polemiche con Tel Aviv, racconta Daiq: “Quando abbiamo imposto il blocco alle angurie israeliane, le autorit? sono insorte, chiedendoci spiegazioni. Abbiamo fatto notare che erano prodotti delle colonie, e come tali era nel nostro diritto rifiutarle. Allora hanno cercato di impedire la vendita delle nostre dicendo che erano coltivate con acqua di fogna. Bene, abbiamo detto noi, fate le analisi e dimostratelo. Ci hanno messo dei mesi, ma nel frattempo le avevamo vendute tutte. Così li abbiamo messi nel sacco”. Almeno fino alla prossima stagione.

Leggi della Carovana dell?acqua in Palestina

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