CENTRO DONNE DI GAZA – LA RESISTENZA DELLE DONNE PALESTINESI

Di Paola Mirenda -giornalista LEFT

Samira ha un bambino piccolo e lo porta ogni giorno con sè al lavoro. Dorme nella culla accanto alla macchina da cucire dove sua madre confeziona vestiti e borse, nel laboratorio di un campo profughi di Gaza. Non si sveglia nonostante il rumore e le voci, in questa stanza dove una decina donne sta decidendo che stoffe usare per i nuovi modelli.

Hanno tra i venti e i sessanta anni, sono sposate, separate, vedove. Qualcuna ha studiato, altre non hanno potuto – i motivi non sempre sono legati al denaro. Ma tutte hanno conosciuto la violenza, che fosse fisica, psicologica o economica: imposta dagli uomini, dalla famiglia, dallo Stato e soprattutto dalla guerra. Questo laboratorio a Jabalia è il loro riscatto, ed è il frutto della collaborazione della ong italiana con la Palestinian Working Woman Society for Development (Pwwsd). Qui le donne e le ragazze imparano un mestiere, guadagnano quel tanto che serve loro per essere indipendenti, comunicano e si confrontano con le altre. A Gaza non sempre è facile. L’embargo imposto da Israele, il blocco delle frontiere, le incursioni continue hanno trasformato un territorio dall’economia prospera in una zona di povertà ed esclusione. E come succede ovunque, le prime a sparire dalla società sono le donne. Si inizia dalla perdita del lavoro, poi c’è l’impossibilità di proseguire gli studi, poi non c’è più nemmeno un teatro dove andare. Chiuse a casa, la violenza diventa quasi inevitabile. C’è chi si abitua fino a considerarla “naturale”, c’è chi c’ènata dentro e nemmeno la capisce più, c’è chi si ribella e se ne va. Molte di loro arrivano allo sportello di aiuto che e Pwwsd hanno aperto per offrire consulenza non solo psicologica, ma anche legale e – con i laboratori di cucito – economica. Oltre seicento donne, da quando Israele ha chiuso le frontiere con la Striscia di Gaza perchè governata da Hamas, si sono rivolte al Centro. All’inizio con difficoltà, poi nel tempo con più consapevolezza e determinazione.

“Non è semplice sfidare la famiglia e le convenzioni”, spiega Wedjan Bajoumi . “La guerra ha cambiato anche la nostra percezione delle cose, e rivendicare i propri diritti di donna non sembra più fondamentale. Quando la dignità ti è tolta in ogni momento, fai fatica a chiederla a casa”. Anche se a volte c’è la sensazione di una resa della popolazione femminile di Gaza – pochissime non portano il velo, e nelle strade si fanno più numerosi i niqab – molte conquiste delle donne palestinesi resistono nonostante le difficoltà, oggettive e soggettive. Al Centro sono arrivati uomini furiosi perchè le loro mogli avevano chiesto aiuto, “ma poi sono rimasti con noi e hanno accettato un percorso di consulenza matrimoniale”, racconta ancora Wedjan. Magari per poco, “ma è già qualcosa”.

Per chi non ha altri aiuti familiari, il lavoro al laboratorio è il modo per sfuggire al ricatto economico che – tanto più in guerra – condiziona le scelte di indipendenza. Però i soldi sono ancora pochi, perchè vendere a Gaza non è facile, ed esportare quasi impossibile. I laboratori, che nel progetto iniziale dovevano sostenere il Centro di aiuto, ancora non sono in grado di farlo. Servirebbero soldi per gli uni e per l’altro, ma si fa fatica a trovarli. “Resistiamo finchè possiamo”, dice Wedjan .” l’unica cosa che non ci hanno tolto, la resistenza”.

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