(S)VENDESI. L’Africa assediata dagli investitori stranieri

Dal Mali all'Etiopia, milioni di ettari strappati ai contadini

IL SIGNORE DELLE ROSE

“Nel San Valentino del '95 non ero riuscito a comprare delle rose per mia moglie, cos? l'anno dopo ho aperto un piccolo vivaio a Bangalore?. Il signor Karuturi, un giovane indiano baffuto in polo bianca, usa l'aneddotica per spiegare il debutto della sua avventura imprenditoriale. Oggi il suo cognome ? diventato quello del pi? grande esportatore di rose al mondo.

Davanti alla macchina da presa del documentarista Alexis Marant, autore del film “Planete ? vendre?, sciorina i successi della sua azienda. Alle sue spalle operai silenziosi potano le foglie delle rose dal bocciolo ancora chiuso. La serra ? immensa e gli operosi giardinieri non sono indiani, ma etiopi, come la terra in cui “i fiori di San Valentino? vengono coltivati.
“Questa ? una terra vergine?, commenta Karuturi, deciso a non fermarsi alle rose: “In programma abbiamo la coltivazione di cibo su un milione di ettari in Sudan. Vogliamo nutrire il mondo, perch? qualcuno dovr? pur farlo?. Al riparo dai teloni di plastica del suo vivaio la carestia nel Corno d'Africa sembra lontana. Eppure, mentre Karuturi cammina tra le rose parlando di progetti faraonici, circa 12 milioni, tra somali, etiopi e keniani soffrono la fame a causa di un anno particolarmente secco.

Riccardo Venturi, Kenya, donne Masai

Ma come ? possibile – viene da chiedersi – che mentre un pezzo d'Etiopia muore di fame, un imprenditore indiano fa affari d'oro coltivando rose da esportare in tutto il mondo?
La prima risposta sembra venire dal Pil. Sotto l'impulso della politica neoliberista del presidente Zenawi, l'Etiopia cresce in media del 7% l'anno, in barba ai milioni di affamati che popolano il paese. Questo ? possibile grazie all'attrazione di capitali stranieri come quelli di Karuturi. Il governo di Adiss Abeba ha messo in piedi a questo scopo l'Ethiopian Investment Agency, che offre un allettante pacchetto di agevolazioni: dalla registrazione in giornata della propria impresa, all'esenzione fiscale e doganale. Gambella, Beshangoul e tante altre terre della vecchia colonia italiana adesso sono di nuovo terre “vergini? da conquistare.

Riccardo Venturi, Kenya, pastore Masai

LA MANO DELLA FINANZA

Ma Karuturi e l'Etiopia non sono casi isolati. “Magari fosse cos??, premette Anuradha Mittal, che nella parte povera della baia di San Francisco ha fondato l'Oakland Institute, think tank tra i pi? influenti in materia di “land grabbing.? Il detonatore della corsa alla terra – ci spiega – ? stato l'impennata del prezzo del cibo del 2008. In quell'anno, i paesi col portafoglio pieno, come quelli del Golfo, si sono trovati d'un tratto col rischio di vedere la loro dispensa vuota. Mentre “molti paesi in via di sviluppo, per recuperare il duro colpo economico, hanno cercato di incrementare l'attrazione di investimenti esteri, come gli ha indicato la Banca Mondiale?, spiega Mittal nel suo piccolo ufficio. Ed ? proprio l'istituto finanziario di Washington che viene messo sotto il vaglio impietoso delle sue analisi. “Dopo la crisi del 2008 la World Bank ha stanziato miliardi di dollari in una serie di iniziative contro l'insicurezza alimentare.
Ma noi siamo convinti che la sua politica stia sortendo l'effetto esattamente contrario?, dice senza mezzi termini. Per dimostrarlo tira fuori dal cassetto uno degli ultimi report prodotti dall'Oakland Institute dal titolo: “(Mis)investment in agriculture?, uno studio che analizza il ruolo della finanza internazionale nella corsa all'oro verde. Nonostante gli slogan di sostegno ai piccoli coltivatori – recita il rapporto – il flusso di finanziamenti finisce sempre nelle mani di attori pi? grossi e capaci di stare sul mercato. “La Banca Mondiale cerca di creare il clima adatto agli investimenti attraverso servizi di consulenza e supporto tecnico a governi e investitori?, continua il report. E spesso gli investitori sono “hedge funds, fondi pensione a altri attori che con la terra non hanno nulla a che vedere e che spesso sono interessati a speculazioni a breve termine, come il rialzo di prezzi della terra?, chiosa Mittal. ? il caso, ad esempio, del fondo d'investimento da 1,6 miliardi di dollari Altima che gode del sostegno dell'Ifc e investe in agricoltura oltre 600 milioni.

Roberto Caccuri, deserto occidentale, Egitto un operaio agricolo della Kadco

DEPORTATI

Il risultato, conclude Mittal, ? che le acquisizioni di terra si fanno sopra la testa dei piccoli coltivatori, spesso costretti a essere “ricollocati? in nuovi villaggi costruiti ad hoc, vedendosi trasformati, nel migliore dei casi, in braccianti salariati.
In Etiopia questa “deportazione volontaria? viene chiamata “villagization?, come riferisce un funzionario della cooperazione italiana. Ma accade anche in molti altri paesi dell'Africa subsahariana. Come in Mali, dove nel 2008 l'allora potente colonnello Gheddafi ha stipulato un accordo bilaterale col governo di Bamako per lo sfruttamento di centomila ettari nella fertile zona dell'Office du Niger. Quando una societ? cinese ha preso in appalto i lavori per la costruzione del canale d'irrigazione lungo svariate decine di chilometri “non si ? curata di quello che ha trovato davanti alla sua strada?, racconta Chantal Jacovetti, un'ex contadina francese che ha scelto di trasferirsi a Bamako e unirsi al Cnop, il coordinamento nazionale delle organizzazioni contadine del Mali. “Ci sono contadini andati in galera perch? si sono opposti all'arrivo delle ruspe, e altri che hanno visto la loro casa venire data alle fiamme?, dice Jacovetti con voce grave.

Riccardo Venturi, Kenya, pastore Masai

CONTRATTI OPACHI

In cambio di questo trattamento riservato alle popolazioni locali, la promessa da parte degli investitori ? quello di costruireospedali, scuole e luoghi di culto. “Ma i contratti spesso sono cos? vaghi che non c'? da stare sereni?, dice Lorenzo Cotula, autore di numerosi rapporti sulla contrattazione degli investimenti agricoli in Africa. “Pu? accadere che una concessione da centomila ettari venga data con contratti che non superano le tre pagine, dove inevitabilmente molte cose non vengono spiegate?, avverte Cotula. In un ufficio di Dakar un attivista della societ? civile che sceglie di restare anonimo mostra uno di quei contratti di cui parlava Cotula. Una concessione per 20.000 ettari nel nord del Senegal stipulata in un contratto di tre pagine in cambio della non meglio specificata costruzione di – testualmente – “scuole, moschee ecc..? . Il prezzo dell'affitto? Circa due euro l'ettaro all'anno. Un affare d'oro per chi investe in terra, un'opportunit? di sviluppo e di accrescimento di potere per i governi, una sciagura, a quanto pare, per i piccoli contadini.

Testo Ernesto Pagano/ Fotografie Contrasto

Dal numero di Ottobre 2011 di Babel