Marocco: continua la persecuzione contro Wafa Charaf

Wafa Charaf, la giovane giornalista già picchiata e rapita alcuni mesi fa, è stata nuovamente convocata dalla polizia ed interrogata venerdì scorso. A questo si aggiunge anche un processo di diffamazione da parte della polizia.

Di seguito una testimonianza di Maria Donata Rinaldi, responsabile Cittadinanza mediterranea COSPE, che, insieme a Lara Panzani, responsabile Maghreb COSPE ha incontrato Wafaa martedì scorso a Tangeri, esprimendole tutta la solidarietà anche a nome COSPE.

«Incontriamo Wafa Charaf nella sede dell’associazione marocchina Chabaka, partner di COSPE nella realizzazione di alcuni progetti sulla società civile, la libertà di informazione e di espressione, l’empowerment ed i diritti delle donne dei giovani.

Wafa è una brunetta esile, camicetta bianca, pantaloni rosa, i capelli neri raccolti sulla nuca, due occhi vivacissimi. Timida all’apparenza, o forse solo un po’ intimidita dalla nostra presenza e dalle nostre domande. Ma non ha difficoltà a parlare e raccontarci quello che le è successo negli ultimi mesi. Wafa è un’attivista, vice-segretaria dell’associazione marocchina per i diritti umani, con una passione per la fotografia di documentazione ed il giornalismo militante.

Da gennaio partecipa insieme ad una ventina di attivisti ai corsi di formazione sui nuovi media e la libertà di espressione, organizzati dal progetto Med Net: Società civile e Media indipendenti, realizzato da COSPE, AMARC Europa, Palestinian Youth Union, Egyptian Association for Community Participation Enhancement, Association Liberté et Développement e Chabaka in Palestina, Egitto, Tunisia e Marocco.

Viene aggredita una prima volta domenica 23 febbraio, durante una manifestazione del Movimento 20 Febbraio a Tangeri, le viene sequestrato l’apparecchio fotografico, viene picchiata da due uomini che fuggono, e lasciata dolorante per strada. Una nuova aggressione il 27 aprile, questa volta con metodi ancora più brutali: bendata, legata, gettata in un furgone e rapita da un gruppo di uomini in abiti civili, per due ore viene insultata, malmenata, terrorizzata, poi lasciata per strada a 12 km da Tangeri.

“Da quel giorno”, ci racconta Wafa, “mi hanno convocata più volte al commissariato di polizia per interrogarmi, ogni volta le stesse domande, loro non parlano mai, chiedono soltanto e non si stancano di ascoltare sempre le stesse risposte. Oppure mi telefonano a casa, anche più volte al giorno, e mi intimano di presentarmi immediatamente al posto di polizia per farmi altre domande, o vengono addirittura a casa mia e cercano di entrare. Io non posso fare domande, non riesco ad avere la loro versione dei fatti, e non so se stanno conducendo delle indagini o interrogando qualcun altro. E’ una specie di accanimento contro di me, vogliono farmi crollare“.

E Wafa è crollata, durante l’ultimo interrogatorio venerdì scorso alla prefettura di polizia di Tangeri, dove è svenuta in seguito alle pressioni insostenibili. Ricoverata d’urgenza all’ospedale, i medici parlano di “crisi psicologica”.

Guardandola, martedì scorso, ci siamo chieste come avesse potuto sopportare tutto questo, una ragazza cosi giovane, dall’aspetto fragile, ma allo stesso tempo ci ha colpito il suo sorriso dolce e disarmante e l’orgoglio con cui alzava in alto il suo apparecchio fotografico: la sua passione, la sua “arma” contro la violenza di chi vuole negare il diritto alla libertà di espressione e mettere a tacere le voci libere ».

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