Repressione, condanne e processi politici: ecco l’Egitto del “moderato” Al Sisi

Ergastoli, condanne a morte e attivisti detenuti  con accuse inventate e contraffatte a scopo  intimidatorio. E’ questo il clima che si respira in Egitto del governo Al Sisi, insediatosi nel luglio 2013 dopo la deposizione del presidente Mohamed Morsi . Fin dal novembre 2013 quando fu incarcerato insieme ad altri 24 attivisti  COSPE  segue da vicino  le vicende del processo ad Alaa  Abdel Fattah blogger e attivista e nostro collaboratore e ne sollecita la scarcerazione attraverso appelli e raccolte di firme in collaborazione con Amnesty International.   In occasione dell’ennesima udienza che si è svolta ieri, 5 febbraio, e a seguito di gravi episodi repressivi  e – secondo molte organizzazioni umanitarie del Paese – di abusi  da parte della magistratura abbiamo  sentito  Omar Hamilton, cugino di Alaa e Laura Cappon, giornalista residente al Cairo per capire cosa sta succedendo a 4 anni dalla grande rivoluzione egiziana che pose fine alla dittatura di Mubarak.   

“Alaa è apparso davanti alla corte molto dimagrito e debole -racconta Omar- dopo un breve intervento della difesa, a cura di Khaled Ali (avvocato dei diritti umani e candidato della sinistra alle ultime elezioni presidenziali ndr) il processo è stato rimandato a lunedì 9. Il giudice è apparso molto annoiato e desideroso di arrivare a una sentenza”. 

Alaa, presente  in aula, era chiuso in una gabbia insonorizzante e opaca e non ha di fatto assistito alla arringa della difesa che ha tentato di smontare una a una tutte le accuse presentate dagli agenti contro di lui. “Oltre all’accusa di aver manifestato senza autorizzazione  come una nuova legge richiede  – dice ancora Omar-  Alaa è infatti anche accusato di aver assalito un agente e aver rubato una radio della polizia. Khaled Ali ha provato quindi, attraverso registrazioni telefoniche, mappe e dimostrando le  contraddizioni dell’accusa,  che Alaa non poteva essere nel luogo dove un testimone dice di averlo visto”.

“Si tratta chiaramente di un processo politico – ci racconta anche  Laura Cappon-  così come quelli intentati contro gli altri 24 imputati che sono in carcere insieme ad Alaa”. A denunciarlo anche moltoe associazioni dei diritti umani presenti nel paese ma l’esito del processo non è affatto scontato, anzi: ”il clima di repressione che si respira  è molto forte e pervasivo, continua Laura Cappon, soltanto mercoledì sono stati condannati  all’ergastolo 230 attivisti dell’area laica.  Tra loro anche Ahmed Douma, leader del movimento 6 aprile tra i protagonisti della rivoluzione del 2011 e delle successive manifestazioni di protesta.   A queste condanne si aggiungono le 183 condanne a morte emanate in secondo grado pochi giorni fa contro i sostenitori dei fratelli musulmani, organizzazione messa la bando come terroristica dal governo Al Sisi (altre 600 erano già state richieste nell’aprile del 2014 contro altrettanti simpatizzanti o attivisti dei fratelli musulmani ndr)”.

Ma quali sono le reazioni dell’opinione pubblica egiziana di fronte a queste chiare violazioni dei diritti umani e di fronte a un’operazione repressiva mai vista prima? “Oggi le persone sono  molto spaventate – racconta Laura –  da un lato la repressione dall’altro la richiesta  di stabilità e ripresa economica  sembrano far accettare la politica della  cosiddetta “sicurezza nazionale” propagandata dal governo Al Sisi. Molti anche tra gli ex attivisti della piazza ritengono che Al Sisi sia la migliore soluzione contro la presunta deriva terroristica dei fratelli musulmani e l’ estremismo islamico e accettano  la repressione e la mancanza di libertà personale come necessario prezzo da pagare. Inoltre dopo l’episodio della ragazza uccisa in piazza durante le celebrazioni della rivoluzione ha definitivamente frenato ogni velleità di contestazione”. Nessuna reazione dunque? “ Anche se sono in molti ancora ad essere contrari al Governo bisogna anche considerare che quest’ala politica è stata distrutta dalle migliaia di arresti e che per riorganizzare un vero movimento e rivedere in piazza quei numeri a cui siamo stati abituati occorreranno anni.  Andare in piazza adesso  significa andare al macello”. 

E intanto l’occidente rimane a guardare?  “Al Sisi è il leader  moderato e riformista che  garantisce stabilità e un freno allo Stato Islamico che anche in Egitto sta avanzando a partire dai tanti gruppi jihadisti che nella penisola del Sinai hanno giurato fedeltà al califfo Al Baghdadi. Queste sue posizioni – conclude la giornalista – nonostante  le sue continue violazioni dei diritti umani,  giocano a  suo vantaggio  e a svantaggio degli egiziani che non hanno sponde  neppure tra i leader occidentali”.   

 

 Leggi qui per tutte le news su Alaa e la petizione online per chiederne la scarcerazione

 

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