Egitto, una punizione esemplare: la condanna a morte dell’ex-presidente Muhammad Morsi

“L’attuale agenda governativa in Egitto ruota attorno a tre assi: l’inasprimento della battaglia al terrorismo e al dissenso, la conservazione degli ininterrotti flussi monetari provenienti dalle monarchie sunnite del Golfo e l’avvio di riforme economiche modeste che danno l’impressione di una visione economica del governo”.

Così il magazine Foreign Policy fa il punto sull’attuale agenda della politica egiziana dopo la condanna a morte, lo scorso 16 Maggio, del deposto presidente Mohammad Morsi e di altri 100 membri dei Fratelli Musulmani. La rivista americana non è l’unica testata a porre l’accento sulla strategia del presidente egiziano contro il movimento islamista giustificata, sin dal principio, nel nome della lotta al terrorismo. Anche il Wall Street Journal afferma che “per il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi questa minaccia si è trasformata nell’opportunità di passare da un reietto internazionale a un alleato nella guerra regionale al terrorismo”.

Sin dall’inizio della sua carriera presidenziale, la crescente ondata di attentati terroristici in Egitto e l’avanzata dello Stato Islamico, il cosiddetto ISIS o IS, ha avuto come riflesso l’accrescimento del supporto al governo egiziano. I numerosi attacchi attribuiti agli islamisti, di cui l’Egitto è continuamente bersaglio, hanno diffuso nel paese un clima d’isteria nel quale le speranze della popolazione si sono raccolte sempre più attorno alle promesse di stabilità e sicurezza provenienti dal governo.

Le reazioni della comunità internazionale sono giunte tempestivamente. Il portavoce del presidente turco Tayyip Erdogan ha comunicato la sua preoccupazione per la compromissione della stabilità in Medio Oriente qualora la sentenza sia messa in atto. Anche l’Iran ha espresso il suo rammarico. Marziek Afkham, portavoce del Ministero degli Esteri ha dichiarato, infatti, che sentenze come queste, che incoraggiano le ostilità, avranno un impatto negativo sulla reputazione del Paese. James Moran, ambasciatore dell’Unione Europea al Cairo ha manifestato contrarie alla pena di morte, conformemente al comune rigetto di tale pratica da parte di tutti i paesi membri dell’Unione. Un funzionario del Dipartimento di Stato americano ha espresso, invece, “profonda preoccupazione” circa l’episodio della condanna a morte dell’ex-presidente.

D’altro canto, le reazioni della comunità internazionale non sono state in linea con quelle dell’opinione pubblica egiziana, per la quale l’episodio sembra essere passato pressoché inosservato. L’ex presidente dei Fratelli Musulmani è stato accusato di aver organizzato un’evasione di massa dal carcere di Wadi El-Natroun al Cairo durante la rivoluzione del 2011 contro il regime di Hosni Mubarak. La notte del 28 gennaio, assieme a Morsi evasero altri 30 detenuti, mentre diverse migliaia fuggirono da altre carceri dell’Egitto.

Prima che possa essere messa in atto, tuttavia, la sentenza di morte dovrà essere approvata dalla più alta autorità religiosa sunnita, il gran Mufti, il cui verdetto, che non è per legge vincolante, sarà reso pubblico il 2 giugno. Inoltre la condanna resta appellabile dagli avvocati della difesa.

Lo scorso aprile Morsi era già stato condannato a 20 anni di reclusione con l’accusa d’incitamento alla violenza, durante il suo mandato, in occasione delle proteste del Dicembre 2012 contro un decreto presidenziale che conferiva al presidente pieni poteri. L’ex-presidente ha per il momento evitato la pena capitale nel processo per spionaggio a favore di Hamas in cui altre 15 persone sono state condannate a morte. Tra i condannati in contumacia figura anche Emad Shahin, esperto di Islam politico all’Università americana del Cairo.

Ribadisco il mio rigetto assoluto delle accuse e mi considero fortemente l’unica vittima dell’ingiustizia in questo caso” ha scritto Shahin sul suo sito web. “Inoltre, condanno i processi-farsa che stanno proliferando in Egitto dal Luglio 2013, nei quali sentenze di morte all’ingrosso, connesse ad accuse inconsistenti e senza alcuna prova, rappresentano il marchio dell’attuale regime militare”. Secondo diversi analisti, la condanna a morte dell’ex-presidente assume un alto valore intimidatorio in un clima fondato sulla messa a tacere dell’opposizione. Di 600 condanne negli ultimi diciotto mesi, infatti, soltanto una è stata effettivamente eseguita.

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