Afghanistan: ‘A Kunduz gli attivisti sono i più a rischio’. Intervista a Lalee Ahmad
“Sono trentacinque i difensori dei diritti umani che stiamo seguendo e sostenendo nella provincia di Kunduz. Ma ad essere ormai in pericolo sono centinaia di persone, sono le loro famiglie e tutti coloro che li conoscono e che condividono con loro i valori dei diritti umani, diritti delle donne, libertà di espressione”. Ci racconta questo, Lalee Ahmad Seyar nostro partner nel progetto Arham, “Afghanistan Human Rights Action and Mobilisation”, attivista e responsabile della locale associazione CSHRN (Civil society & Human rights Network). Lalee vive e lavora a Kabul e attraverso CSHRN e il progetto segue e coordina la rete della società civile organizzata.
E’ il feroce attacco talebano nella provincia di Kunduz della scorsa settimana (lunedì 28 settembre ndr) che mette alla prova proprio il sistema e il reale funzionamento di questa rete della società civile: “Siamo in contatto con il nostro focal point locale – continua Lalee raggiunto via skype – e dopo i primi attacchi ci siamo resi conto che c’era qualcosa di particolarmente pesante in queste rappresaglie dei talebani: stanno conducendo un vero e proprio rastrellamento, cercando nome per nome i difensori dei diritti umani e tutti coloro che lavorano nelle ong e che – secondo loro- avversano la “cultura” talebana. Il loro motto è “uccidi l’uomo e sposa la donna” cioè, per tradurre, prendila e rendila schiava. Ed è questo che stanno facendo. Da Kunduz ci arrivano notizie di rapimenti, stupri e torture. La cosa incredibile è che i talebani hanno una lista con i nomi delle persone da cercare. E’ la prima volta ed è scioccante per noi”.
Intanto a Kabul, che non è esente in questi giorni da scontri e attacchi: “pochi giorni fa, il 5 ottobre, c’è stato un violento scontro tra esercito e talebani vicino all’ambasciata russa, a poche centinaia di metri dai nostri uffici – racconta ancora Lalee”- si sta cercando il modo di far allontanare dalla provincia le persone più ad alto rischio e le loro famiglie inviando soldi e beni di prima necessità: “Molti sono arrivati alla frontiera con il Tajikistan, che confina a nord con l’Afghanistan, mentre altri vorrebbero venire a Kabul, dove per noi è anche più facile assisterli e nasconderli, grazie a case protette, hotel e ristoranti messi a disposizione da attivisti e attiviste. Ma anche a chi vuole entrare in Tajikistan stiamo fornendo denaro, visti e trasporti. Siamo riusciti a inviare denaro e cellulari per stare in contatto attraverso una compagnia aerea privata, attraverso il Ministero della Difesa, UNAMA (United Nations Mission in Afghanistan) e alcune ong internazionali. In questo momento comunque c’è infatti bisogno anche di assistenza basica per tutta la popolazione che di fatto non ha accesso ad acqua e cibo”. Kunduz infatti non è stata affatto ripresa dall’esercito afghano ma è ancora in mano ai talebani nonostante i tristemente noti attacchi aerei ad opera degli Stati Uniti (che hanno provocato la distruzione dell’ospedale dei Medici Senza Frontiere e ucciso 22 civili ndr) , e per questo rappresenta, così si legge sulla stampa locale, uno dei loro maggiori successi militari e strategici da 14 anni di guerra a questa parte.
Perché? ”Purtroppo i talebani hanno molto appoggio, da parte di alcune frange dell’esercito pakistano, per esempio, ma anche da parte di alcuni governi locali. Questo permette loro di avanzare e di avere armi, uomini e sostegno in certe zone. Anche a Kabul del resto ci sono delle infiltrazioni. La situazione sta peggiorando e purtroppo assistiamo anche a un fenomeno che non credevamo possibile: l’arruolamento da parte dello Stato Islamico di molti gruppi e gruppuscoli talebani. Questa unione spiega, in molte zone, anche la maggiore violenza delle loro azioni. Quello che si dice è che sono arrivati anche 700 membri del Daesh dal Pakistan e che stanno preparando le basi, adesso che fa freddo, per organizzare un vero attacco nel prossimo anno. Siamo molto preoccupati”.
Arham è un progetto che cerca di creare proprio dei metodi di difesa e di protezione di tutti gli attivisti , e sono molti in un paese pur devastato da anni di guerra e guerra civile. Lo fa attraverso focal point e allertando tutta la società civile organizzata: “Nei prossimi giorni avremo altre due riunioni per decidere i prossimi passi”. L’appoggio internazionale è comunque fondamentale. In questo momento serve tutto e naturalmente per ogni azione servono fondi”.
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