COP18 – LAST CALL PER IL CLIMA

A Doha, in Qatar, sono riuniti i ministri dell’Ambiente e dell’Energia di 198 Paesi per la 18ª Conferenza mondiale delle Nazioni Unite su clima e cambiamenti climatici (COP18).
Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha lanciato un appello a un ‘impegno concreto’ per il raggiungimento di un accordo globale per l’abbassamento delle emissioni di gas serra.

Direttamente da Doha, qui di seguito, un contributo di Alberto Zoratti di Fairwatch.

Doha COP18. Last call per il clima

di Alberto Zoratti – Fairwatch

Se fossimo in un aeroporto queste COP che anno dopo anno si susseguono assomiglierebbero sempre più ad un Last call. Gli appelli di buona parte del mondo scientifico, almeno di quello coinvolto in modo diretto od indiretto con l’IPCC, il panel intergovernativo di studiosi che si occupano di cambiamento climatico, ci ricordano come ci stiamo avvicinando a larghe falcate ai tipping points, i punti di non ritorno che caratterizzano sistemi inerziali come quello atmosferico.

Gli ultimi avvenimenti, come il superstorm Sandy che ha fatto entrare l’oceano Atlantico nelle strade di New York, il tornado che ha colpito Taranto, o ancora il tifone a Mindanao o lo scioglimento quasi totale della Groenlandia, ci dicono che qualcosa sta cambiando, ed in peggio, nel mondo che abbiamo conosciuto fino ad oggi. E che la velocità di questo cambiamento sarà direttamente proporzionale al grado di inerzia della diplomazia mondiale.

Entro il 2015, ricorda l’IPCC, dovremmo arrivare al picco di emissioni di CO2 che, va sottolineato, è in costante crescita a livello mondiale, segnando un +3% nel 2011 rispetto al 2010. Questo per evitare (con probabilit? al 50%) il superamento delle 450 parti per milione di concentrazione del gas in atmosfera e l’aumento di oltre 2°C della temperatura media mondiale rispetto alle condizioni preindustriali. Per fare questo andrebbero consolidati e rinforzati meccanismi legali, capaci di imporre un taglio delle emissioni, e andrebbero messe in campo risorse per sostenere mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico.

Kyoto, l’unico protocollo a livello mondiale assieme a quello di Montreal sul buco dell’ozono capace di dare un indirizzo chiaro e legale, è a rischio sopravvivenza. E’ scaduto il primo periodo di impegni 2008 – 2012 in cui i Paesi industrializzati avrebbero dovuto tagliare le loro emissioni di una certa quantità, riferendosi all’anno 1990 come base (e che ha portato benefici relativi), ed è in discussione il secondo periodo di impegni che dovrebbe partire il 1° gennaio 2013. Ma su questo il negoziato è ancora aperto, con il rischio di trovarsi di fronte ad una cornice legale confermata, ma dai contenuti ancora da decidere. Un contenitore vuoto che salva la capra ma rischia di perdere i cavoli per la strada.

Assieme al confronto su Kyoto, e su chi, come e quanto dovrà tagliare le proprie emissioni, altro ambito di negoziato, per così dire, caldo è il finanziamento ad adattamento e mitigazione. Il Green Fund, ipotizzato a Copenhagen nel 2009, deciso a Cancun nel 2010 che avrebbe dovuto portare fondi freschi ai Paesi in via di sviluppo, è solo sulla carta. Del primo ‘fast-track’ 2010-2012, ben 30 miliardi di dollari all’anno, si sono viste solo le briciole, quelle necessarie a creare la struttura burocratica in Corea (sì e no 3 miliardi di dollari) e poco altro. Del fondo di lungo periodo, 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, gli impegni sono molti ma i versamenti molto pochi. Giusto la Gran Bretagna ha annunciato lo stanziamento di 2.2 miliardi di euro, primo Paese europeo a farlo, ma quando tutto ciò verr?à gestito in forma efficiente è da capire.