EGITTO UN ANNO DOPO:”LA RIVOLUZIONE NON E’ FINITA”

Oggi tutto il mondo è in piazza Tahrir e guarda all’Egitto tra timori e speranze. E’ passato un anno dall?inizio della Rivoluzione ed è tempo di bilanci. Che cosa è accaduto ai ragazzi che gridavano “we are all khaled said” un anno fa? E che cosa è accaduto a questo Egitto liberato dalla dittatura di Mubarak in termini di democrazia, spazi di partecipazione, libertà? E perchè nonostante le prime elezioni libere del Paese e l’insediamento del primo parlamento democratico, oggi i molti che sono in piazza gridano ancora è la rivoluzione non è finita?” “Come ong che lavora in Egitto da più di dieci anni sui diritti umani – dice Silvia Ricchieri, responsabile Paese per COSPE – anche quando non si potevano neppure nominare – e sugli spazi di partecipazione politici -quando anche gli spazi pubblici erano proibiti- abbiamo letto e sostenuto tutti i cambiamenti con speranza”.

“Dopo un primo periodo in cui sembrava che fosse finalmente arrivato il momento di realizzazione e dispiegamento di tutte le potenzialità della società civile egiziana – continua – ci siamo accorti presto che, purtroppo, “molto era cambiato perchè niente cambiasse”.

Cambiate casacche, cambiata retorica non è purtroppo cambiata la pratica di chi ha preso il Governo del Paese: le leggi sono le stesse, l’autoritarismo e i metodi repressivi sono gli stessi, il controllo sulla libertà di espressione immutato. Sono 12000 le persone che nel corso dell?anno sono state processate da corti militari e arrestate. Tra queste molti giornalisti e blogger.

I morti negli scontri sono sempre più frequenti e soltanto a novembre/dicembre 2011, nel periodo definito della Seconda Rivoluzione, più di 100 persone sono state uccise. “Fin dall’estate scorsa, ben trentanove associazioni tra cui molti nostri partner – racconta Silvia – sono state attaccate e messe sotto controllo con varie accuse: di essere al servizio dei poteri stranieri, di utilizzare fondi senza permesso. Allo stesso tempo, nelle comunità dove lavoriamo se non sono i vecchi notabili del Partito Nazional Democratico di Mubarak sono comunque i soliti noti e potenti che siedono nei governi locali e decidono le sorti delle persone con il beneplacito della polizia e dei militari”.

Restaurando un forte clima di paura e diffidenza tra le persone. Cosa che ha avuto riflesso anche sulle elezioni, in gran parte pilotate e guidate da propaganda più religiosa che politica. “Siamo stati tra i pochi – non senza fatica – a fare un’azione di educazione civica, di formazione e di educazione alla democrazia (che cosa sono i partiti, quali, con che programmi) che ha raggiunto anche molte donne”.

Molte delle associazioni che formalmente appartengono alla società civile egiziana (sono 22000 le ong registrate in Egitto, con scopi e finalità tra le più disparate e di cui la grande maggioranza controllata dalle autorità tradizionali o di regime e quindi non indipendenti) non sono infatti preparate ad affrontare un percorso e un discorso e uno sviluppo democratico. O sono molto lontane dalla popolazione. “Adesso è quindi  probabilmente il momento più difficile e più importante anche per il nostro lavoro e il nostro ruolo – dice Fabio Laurenzi, presidente COSPE – E’ il momento in cui è necessario rafforzare il legame con le organizzazioni della società civile e le persone, le persone più povere, con meno potere, che vivono ai margini e che in Egitto sono la maggioranza”.

“E’  necessario esserci supportando tutte le azioni di pressing verso il Parlamento – conclude Silvia Ricchieri – quello appena eletto e la giunta militare che non accenna a lasciare il suo posto (forse dopo le presidenziali di giugno?) perchè la legge di emergenza sia davvero cancellata (e non come ha detto Tantawi, limitata ai casi di “azione criminosa” che vuol dire tutto e niente ndr) e che siano cambiate le leggi sulla libertà di associazione e di espressione.

Occorre infine rafforzare il ruolo delle associazioni che si dedicano ai diritti umani e che spesso non sono costituite come ong per rimanere libere e indipendenti dal controllo statale”. A un anno dalla Rivoluzione COSPE ha dunque un ruolo e una responsabilità ancora più importante: non lasciare sola piazza Tahrir.

Guarda il video di Marc Innaro, corrispondente RAI in Egitto