Giornata del rifugiato. Quali diritti?

Una riflessione e alcuni dati in occasione della “giornata del rifugiato” a cura di Udo C. Enwereuzor, responsabile COSPE per migrazioni, minoranze e diritti di cittadinanza. 

Si celebra oggi la giornata mondiale del rifugiato e nell’occasione, l’Alto Commissariato per il Rifugiati (UNHCR), agenzia dell’ONU investita della responsabilità di proteggere i rifugiati, ci ricorda che le persone costrette a fuggire dal proprio luogo di abituale dimora a causa di guerre e persecuzioni ha toccato alla fine del 2015, la cifra mai raggiunta prima di 65,3 milioni.

L’attuale Direttore, Filippo Grandi, sottolinea come “in mare, un numero spaventoso di rifugiati e migranti muore ogni anno e a terra, persone in fuga da guerre trovano le proprie strade bloccate da frontiere chiuse”. Notizie di cronaca recenti dalla frontiera turco-siriana indicano che non solo si chiudono le frontiere ma i rifugiati che cercano passarci vengono presi a fucilate facendo vittime anche fra i bambini.

Questi due aspetti confermano che è in atto il più grave attacco ai diritti umani dei rifugiati dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Si tratta anche di un attacco al sistema del diritto internazionale fondato sulla Convenzione ONU del 1951 sulla protezione delle persone che, per minacce alla propria persona e ai propri diritti su più fronti, cercano rifugio in un altro paese rispetto a quello d’origine o di abituale residenza. Quali sono questi diritti e come sono minacciati oggi?

In primo luogo, il diritto all’asilo politico e/o alla protezione internazionale sancito dalla Convenzione del 1951 è oggi sotto attacco dall’applicazione rigida della regola del ‘primo paese sicuro’ che prevede che la richiesta d’asilo venga fatta al primo paese ‘sicuro’ in cui arriva. Nel sistema di asilo vigente nell’UE, questa regola è stata incorporata nel Regolamento di Dublino che, da 3 anni, costituisce un ostacolo ad una presa in carico diretta da parte dell’Unione nella gestione di quanti cercano rifugio sul suo territorio. Una grave conseguenza di questa rigidità è che i paesi confinanti con aree in conflitto e che sono anche più poveri e privi di strutture per accogliere chi fugge dai conflitti e persecuzioni, sostengono un peso spropositato di una responsabilità che la Convenzione del 1951 definisce come della Comunità internazionale riunita nell’ONU.Secondo l’UNHCR, i paesi in via di sviluppo sostengono il 70% del peso dei rifugiati e sfollati (IDPs) nel mondo contro il 30% dei paesi industrializzati. Per averne una conferma, basta ricordare che l’Iran ospita attualmente circa 2,3 milioni di profughi afghani e iracheni, la Turchia oltre 2 milioni di siriani, il Libano più di un milione e mezzo di siriani, la Giordania circa 750 mila siriani ed iracheni. L’Africa ne ospita complessivamente circa 13 milioni.

L’attacco ai diritti dei rifugiati riguarda anche un principio sovrano della Convenzione, ovvero quello che impone di non rimpatriare il/la richiedente asilo in un paese dove ha fondati timori che la sua vita e libertà siano minacciate (non refoulement); si tratta di uno dei pochi principi di quella Convenzione per il quale non è ammessa alcuna riserva da parte dei paesi firmatari ed è in questo senso che è sovrano.L’Accordo Ue-Turchia del marzo scorso che prevede il rimpatrio in Turchia di richiedenti asilo arrivati in Grecia da lì e l’intesa di bloccare altre partenze dal territorio turco, costituisce un esempio eclatante di violazione dei due diritti fin qui richiamati. Nonostante che da più parti sia stato evidenziato che la Turchia non è un paese sicuro in cui chiedere asilo e ancor più, verso il quale respingere i profughi in fuga da conflitti cruenti, l’Ue insiste nel sostenerlo con l’impegno di versare 6 miliardi di euro in 3 anni alla Turchia, oltre ad allentare il regime di visti d’ingresso per i cittadini turchi. Non solo: l’Ue ritiene questo accordo un modello da applicare ad altri contesti, in particolare all’Africa Subsahariana, come recentemente affermato in un documento sui nuovi partenariati con i paesi dell’area.

Va ricordato che l’Italia sostiene tale modello di accordo, avendolo suggerito nel suo ‘Migration Compact’ per la gestione della migrazione dall’Africa, con l’aggiunta della ‘presenza delle forze dell’ordine europee nell’Africa Subsahariana’. Dal versante africano, il Mali si è fatto avanti subito con la richiesta all’Ue il 3 maggio scorso, della somma di 1,3 miliardi di euro per fermare, come la Turchia, le migrazioni attraverso il suo territorio.

Altri diritti dei rifugiati sono sotto attacco. Il diritto all’unità familiare, che la Convenzione sui rifugiati sancisce e sottolinea ripetutamente, così come quello all’istruzione elementare sono fortemente compressi dall’attuale gestione della crisi dei profughi. Si è arrivati perfino a mettere in discussione l’obbligo derivante dai trattati sulla navigazione che impone di soccorrere chiunque si trovi in difficoltà e a rischio naufragio in mare. Secondo l’UNHCR, il periodo massimo che i profughi riescono a sopportare in campi di accoglienza, senza istruzione per i propri figli è di 5 anni, dopo i quali tendono a rinunciare all’idea di rientrare nel paese d’origine e riprendere a ricostruire la loro vita.

D’altra parte, i bambini rimasti senza istruzione per così lungo periodo rischiano di finire come analfabeti, ed il rischio maggiore lo corrono per le famiglie più vulnerabili. Molti dei profughi siriani nei campi allestiti nei paesi confinanti dall’UNHCR, si avviano al sesto anno di vita sospesa.

La nostra obiezione alle politiche Ue centrate sui rimpatri e riammissioni non è semplicemente di principio ma fondata anche sulla contrarietà alla messa in atto di politiche che rafforzano le capacità e potenzialità repressive dei governi destinatari degli “incentivi” dell’Ue, che siano ‘democratici’ o ‘dittature’. La sparatoria da parte dell’esercito turco contro alcuni profughi siriani al confine tra i due paesi e che ha ucciso anche 4 bambini dimostra la pericolosità di questa linea.

Delegare, pagando, a paesi come la Turchia le violazioni come queste appena ricordate rende l’Ue co-responsabile di simili atti.Bisogna opporsi a politiche Ue che inducano paesi terzi a violare i diritti dei propri cittadini (raccolta di dati biometrici degli sfollati interni nei vari paesi d’origine o transito di migranti verso l’UE ai fini di controllarne i movimenti successivi; limitazione della mobilità regionale; costruzione di centri di detenzione in paesi terzi ecc.), allo scopo di limitare le migrazioni verso l’Ue.

Quali risposte si deve dare alla crisi in corso di profughi e sfollati?Nel breve periodo, la priorità deve essere data al salvataggio e accoglienza dei profughi evitando che muoiano durante il viaggio come avviene nel Mediterraneo o lungo la rotta via terra.

Per alcune aree che vivono conflitti cruenti come la Siria, servono canali umanitari dedicati che consentano ad un numero consistente di persone di raggiungere l’Ue con minori rischi per la loro vita. È altrettanto importante sostenere economicamente i paesi in prossimità delle aree in conflitto che sopportano il peso dei profughi e degli sfollati.

Questo sostegno andrebbe incanalato, almeno in buona parte, attraverso l’UNHCR che è l’Agenzia deputata all’accoglienza dei rifugiati e profughi e non dato direttamente ai governi come è avvenuto nel caso della Turchia. Infine, servono ragionevoli canali legali d’ingresso in Europa per richieste di protezione internazionale così come per lavoro.