IL DECRETO LEGGE 133: UNA LEGGE CHE FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI

Di Geraldina Vespucci

Considerare il problema dell?acqua esclusivamente come un problema dei paesi in via di sviluppo significa evitare di aprire gli occhi sull?emergenza della gestione delle risorse idriche in Italia. E non si esagera nel definirla emergenza, dato che le prospettive dettate dalle nuove leggi in proposito aprono sipari inquietanti. Se, infatti, all?inizio del XX secolo si pubblicizzarono e si nazionalizzarono i servizi idrici di quasi tutto il mondo, da alcuni decenni esponenti politici e grandi organizzazioni finanziarie internazionali spingono sempre pi? verso una privatizzazione totale, non solo delle reti di distribuzione dell?acqua, ma anche delle fonti e dei bacini idrici.

La privatizzazione ha modalit? differenti di applicazione. Nello specifico, vengono definiti due tipi di modello: uno, detto all? ?inglese?, che prevede la privatizzazione sia delle reti idriche sia della loro gestione, disciplinate per? da autorit? pubbliche, un altro detto alla ?francese?, che prevede la privatizzazione soltanto della gestione delle reti, lasciandone pubblica la propriet?. In pratica si preserva la propriet? pubblica, consentendo la natura privata della gestione. Anche l?Italia a partire dalla legge Galli (1994), in seno alla tendenza europea di seguire questo principio ha dato vita agli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) , organi che hanno il compito, appunto, di affidare la rete idrica ad un gestore.

Quest?ultimo pu? essere una societ? interamente pubblica (chiamata in-house), una societ? privata o una societ? mista pubblico-privata.
Nel 2001 ci fu un ulteriore tentativo verso un?industrializzazione del servizio idrico: l?art. 35 della legge 448 introdusse l?obbligo di affidare la gestione tramite gara ad una societ? di capitali. La legge fu bloccato in extremis dall?Unione Europea, che la mise in mora: in pratica fu ancora possibile una gestione dell?acqua pubblica, o meglio di societ? a gestione pubblica (le in-house di cui prima). Questo fino allo scorso agosto, quando viene approvato il decreto legge 112, poi diventato art 23-bis (l. 133/2008): mentre tutti erano in vacanza, nel silenzio completo di media e di chi ha il compito di salvaguardare i beni comuni di tutti i cittadini, l?attuale governo decide che entro il 2010 tutti i servizi pubblici locali saranno privati. Quindi anche l?acqua.

La giustificazione nelle stesse parole del decreto, si nasconde dietro a tre parole: ?Efficace, Efficiente ed Economico?. Eppure i giornali riportano in continuazione esempi di mala gestione delle societ? private, di reti idriche fatiscenti mai rinnovate, di spese per i consumatori triplicate senza motivo e di una crescente difficolt? nell?ampliamento e diffusione della stessa rete idrica.
A Parigi, come negli Stati Uniti le amministrazioni locali stanno ottenendo un ritorno all?acqua pubblica, e una drastica diminuzione dell?intervento delle multinazionale nella gestione di essa.
Anche in Italia comuni e amministrazione, personalit? della politica e della cultura hanno alzato la voce per difendere questo bene comune, mentre centinaia di persone sono scese in piazza con questo intento comune.

L?acqua non ? mai stata n? potr? mai essere un bene economico. Ecco il significato di tante campagne, del Comitato per il Contratto mondiale dell?acqua, dell?attivit? di tante persone che non si fermano di fronte ad una legge sbagliata, ma ne sottolineano l?errore fondamentale. Soltanto quando si smetter? di affermare che l?acqua ? un bene economico e quando finalmente leggeremo sulle pi? importanti convenzioni dei diritti dell?uomo ?diritto all?acqua? sar? realmente garantita a tutti una vita dignitosa.