Il Mali tra jihadismo e land grabbing. “L’attacco a Bamako figlio del conflitto interno”

“L’attacco al Radisson blu sembra rispondere più a logiche interne al conflitto maliano che non a una strategia del terrore globale.” Questa la lettura di Luca Raineri, collaboratore COSPE e dottorando alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa per cui conduce ricerche su crimine organizzato, politica e instabilità in Africa, e nell’area saheliana in particolare.  Mentre l’attacco all’hotel è ancora in corso e con una forte preoccupazione per i nostri partner maliani del CNOP (Coordination Nationale des Organisations Paysannes du Mali) – che abbiamo raggiunto via mail-  ci siamo fatti aiutare a capire cosa sta succedendo in Mali proprio da Luca, che da Bamako è appena tornato: “Non credo che questi fatti siano direttamente collegati a quelli di Parigi, perché qui lo Stato islamico non ha attecchito ed è Al Qaeda a dominare nel Nord del paese (e mentre scriviamo l’attentato è stato rivendicato dal gruppo affiliato ad al Qaeda,  Al Mourabitoun, diretto dall’algerino Mokhtar Belmokhtar, ndr). L’unica cosa che vedo in comune è l’odio per la Francia ma non credo che fosse questo il reale obiettivo degli assalitori”. La Francia è qui impegnata, infatti, nel conflitto che divide appunto il Nord dal Sud del paese ed è ugualmente odiata sia da chi la Francia combatte, i jihadisti, sia da coloro che la Francia avrebbe dovuto difendere, dato che ancora il conflitto non si è sedato. “In realtà – continua Luca Raineri –  un Trattato di pace si è firmato nel maggio – giugno scorso, ma è un Trattato che non risolveva i problemi di fondo che avevano scatenato la guerra. Probabilmente il suo unico scopo era quello di andare incontro alla comunità internazionale e cominciare a ricevere degli aiuti. Da settembre ad oggi però le milizie tribali si stavano incontrando in Capitale per discutere e arrivare a qualcosa di più concreto”.

E’ dunque probabile che i miliziani di Al Qaeda, divisi al loro interno in più gruppi, volessero colpire o avvertire i capi tribali per evitare ogni implementazione del Trattato, che non i francesi residenti. “Per colpire i francesi o gli internazionali avrebbero potuto attaccare obiettivi più facili, il Radisson è uno dei luoghi più sicuri di Bamako e la strategia deve essere stata studiata a lungo”.  Questa interpretazione sgonfierebbe l’idea di un’unica entità, l’Isis, sempre più potente e che colpisce ovunque, ma certo non tranquillizza: le cause di questi conflitti sono profonde e non ci vedono “non coinvolti”. “So per certo  che molti dei jihadisti  – dice Luca – sono stati arruolati tra le fila dei contadini espropriati dalla loro terre a causa dell’“accaparramento” di  grandissime porzioni del territorio da parte di attori privati nazionali e internazionali (si calcola che siano 800mila gli ettari di terreni fertili accaparrate  secondo Grain) . Senza fare un nesso causa effetto tra land grabbing e jihadismo, questo è un fattore va tenuto presente in questa analisi. I gravi squilibri economici e le ingiustizie sociali portano sicuramente fieno nella cascina dell’estremismo. Qualunque esso sia”.  COSPE è presente in Mali proprio con un progetto dal titolo “Terra e pace” che coinvolge oltre al Mali anche Senegal e Niger e il cui primo obiettivo è quello di contribuire alla prevenzione delle crisi in queste aree così vulnerabili e rischio dal punto di vista sociale,  economico e ambientale anche attraverso l’accesso alla terre e l’agro-ecologia, come strategia di prevenzione dei conflitti e di stabilizzazione della pace. Se è sicuramente presto per tirare delle conclusioni  e andare al di là delle ipotesi, l’analisi di fondo però rimane valida, data l’instabilità politica ed economica del paese. E, di nuovo, come COSPE continuiamo a chiedere che le soluzioni a questa spirale di violenza passino attraverso una reale comprensione delle ragioni profonde e il dialogo on la società civile dei paesi coinvolti. Con la cooperazione e non con le armi.

Vedi il progetto COSPE 

 

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