La citt? di Firenze consegna il

Non in molti avrebbero scommesso di vederla un giorno di nuovo in pubblico, di sentirla ancora parlare con quella pacatezza e quella determinazione che l?aveva contraddistinta durante la campagna elettorale del 2002 e che l?ha, anche, condannata a 6 anni di prigionia nell?inaccessibile selva colombiana, dal 23 febbraio 2002 al 2 luglio 2008 per mano delle (FARC) Forze armate Rivoluzionarie Colombiane.

Invece Ingrid Betancourt, scortata dalla madre, a distanza di appena due mesi dalla liberazione sta viaggiando per il mondo e portando il suo messaggio di libert? e pace. Con la stessa voce, la stessa pacata determinazione e la stessa luce negli occhi di quando credeva di poter dare, con la sua candidatura e il suo partito d?ispirazione ambientalista, ?Oxigeno?, un?alternativa al suo martoriato paese la Colombia. Ed ? cos? che ? apparsa lo scorso 3 settembre in Palazzo Vecchio a ritirare il Giglio d?Oro simbolo della cittadinanza onoraria che Firenze le aveva gi? tributato nel 2004 ma che solo oggi le ha potuto consegnare.

? La vostra mobilitazione -ha detto- ha fatto la differenza: mi ha salvato la vita. I miei sequestratori hanno capito che non potevano disporre della mia vita impunemente. La pressione internazionale ha permesso la mia liberazione e quella dei miei compagni senza spargimenti di sangue?. Sorvola Ingrid, come ? logico, sulle polemiche che circondano questa azione condotta dall?attuale presidente colombiano Alvaro Uribe, prossimo alle rielezioni e famoso per la sua politica dal pugno duro contro la guerriglia, per la militarizzazione del territorio colombiano con il programma di ?sicurezza democratica? e per il piano di reinserimento nella societ? civile di paramilitari, membri di vere e proprie squadre della morte.

La cosa certa, ? che dopo sei anni di rapimento, Ingrid pur non avendo perso affatto la voglia di lottare, ha deciso di abbandonare la politica intesa come militanza in un partito. Per lei si parla di un posto all?ONU come ambasciatrice di pace. E non potrebbe essere altrimenti: ?La libert? ? dice ancora – ? lo spazio in cui possiamo muoverci per? la pace ? la qualit? di questo spazio. ? una disciplina dell?anima. Non possiamo sperare che il mondo comprenda la pace se non facciamo singolarmente un cambiamento interiore e senza sapere che la pace passa sempre dal perdono?. Sono sicuramente i suoi principi cattolici a ispirarla, ma La Betancourt si spinge pi? avanti spiegando la sostanza del ?perdono? a cui si riferisce. ?Un perdono che non ? fatto di obl?o, ma di parola. Le parole sono le uniche ?armi? che abbiamo per lottare per la pace e per riscattare la Colombia da questa guerra fratricida che vede intere famiglie in lotta tra di loro?. Il suo ? dunque un messaggio universale che partendo dalla Colombia e da coloro che sono rimasti nella selva, si rivolge a tutti i ?prigionieri? politici. Prima fra tutti Aung San Suu Kyi in Myanmar. Persone a cui, per motivi politici ? stata privata la libert?, la possibilit? di scegliere e di disporre della propria vita.

Il suo ? un messaggio ancora pi? estremo, lanciato anche alla vecchia Europa, all?Italia e alle sue politiche anti immigrazione e alla famigerata emergenza sicurezza: ?In un mondo in cui stiamo rifiutando tutti coloro che arrivano ?dall?esterno?, in cui stiamo chiudendo le frontiere e viviamo con la paura ?dell?altro? che arriva e ci prende il nostro spazio, dobbiamo riuscire a lasciare la paura fuori, dietro di noi.

La paura ci rende aggressivi perch? ci mette sulla difensiva. Io non voglio un mondo con la paura, n? lo voglio per i miei figli?. Ha carisma, ha forza, la Betancourt, e rappresenta, prima ancora che con le sue parole e le sue azioni, con il suo corpo, riscattato alla guerra e dalla ?tomba verde? una speranza e non solo per il suo paese. A gran voce, da Firenze e non solo, adesso per lei si chiede il Nobel.