La politica israeliana ha trasformato Al-Nabi Samuel in una grande prigione

In queste settimane la Palestina è scossa da una nuova ondata di violenza, che, nella stampa mainstream italiana, ritorna ad occupare gli spazi delle rubriche delle news dall’estero. Da decenni, invece, la quotidianità della popolazione palestinese è fatta di sofferenze, violenze e soprusi da parte dello Stato di Israele, che infrange diverse prescrizioni del diritto internazionale e del diritto umanitario. Presentiamo quanto accade ad Al-Nabi Samuel, dove COSPE è presente con un progetto che mette insieme l’associazionismo locale e le autorità di diversi villaggi dell’area, perchè insieme realizzino politiche e iniziative per l’occupazione giovanile, pur nelle scarse risorse disponibili.

Un articolo di Fatima Bakri, ufficio comunicazione Palestinian Youth Union (partner COSPE in Palestina).

Tutto ad Al-Nabi Samuel sa di storia, una storia disegnata dalla forza e dal potere da quando Israele, nel 1971, ha operato un trasferimento forzato della popolazione dalle case adiacenti alla moschea, dove è stata istituita l’area archeologica di Mazar, sede della tomba del profeta Samuele. Il villaggio di Al-Nabi Samuel, a circa 8 km da Gerusalemme, posto sulla vetta di una collina a 885 metri di altezza, è considerato la vetta più alta dell’area di Gerusalemme. Dopo la Guerra del 1967, Israele ha occupato il villaggio espellendo la maggior parte della sua popolazione verso le aree circostanti. Perfino il nome del villaggio è stato cambiato: non più Al-Nabi Samuel, come nella tradizione centenaria palestinese, ma Wolfs, dal nome della nota Istituzione Wolfon, che ha stanziato fondi per la costruzione delle colonie per le famiglie ebree nelle aree confiscate da Israele.

Oggi Al-Nabi Samuel è circondato su tutti i lati dal Muro di Separazione costruito unilateralmente da Israele, e questo isola il villaggio interamente da tutte le aree circostanti, rendendolo una delle diverse enclave nella cosiddetta Seam Zone, l’area compresa tra la Green Line (il confine internazionale tra Israele e Palestina) e il tracciato del Muro. Muro che, come noto, per oltre l’80% del suo percorso penetra nel territorio palestinese, costituendo di fatto un ulteriore strumento di confisca del territorio palestinese. A tutti i palestinesi della Seam Zone non sono garantit molti dei servizi pubblici di base, e comunque vengono applicati regimi legali punitivi, tanto che, in alcuni casi, gli abitanti nella Seam Zone sono soggetti a rinnovi periodici per la residenza rilasciati dalle autorità israeliane. I residenti nella Seam Zone nell’area di Gerusalemme, inoltre, non possono raggiungere la città di Gerusalemme o diverse altre aree della Cisgiordania, pur essendo cittadini palestinesi residenti a Gerusalemme. La strategia di spossessamento di terre e villaggi portata avanti da Israele, in aggiunta alla confisca delle terre e ai regimi restrittivi, arriva a utilizzare sistemi come l’offerta di alte somme di danaro alla popolazione palestinese per la vendita delle loro case e delle loro proprietà.

La popolazione del villaggio vive della coltivazione di piccoli orti familiari e dell’allevamento di ovini. Al momento la popolazione di Al-Nabi Samuel conta poco meno di 300 persone, rispetto alle 1.000 del 1971. La loro vita è difficilissima, per la mancanza di diversi servizi di base. Esiste un solo bus pubblico per il trasporto da e per il villaggio, che può passare solo in pochissimi momenti specifici del giorno, attraverso il checkpoint controllato dall’esercito israeliano lungo il Muro di Separazione. Al checkpoint alle porte del villaggio, l’entrata e l’uscita dei residenti è data dalla registrazione su una lista specifica. Solo con specifici permessi concessi dall’esercito israeliano, altre persone non resisdenti di Al-Nabi Samuel e con carta di identità palestinese possono avere accesso al villaggio, ma il più delle volte questi permessi sono rifiutati, o gli ingressi non vengono garantiti, perchè il passaggio finale attraverso il checkpoint resta comunque a completa discrezione dei soldati di turno.

Quanti si sposano, residenti del villaggio, in molti casi si trovano costretti ad andare via e a trasferirsi presso i vicini villaggi al di là del Muro, per il divieto di costruire case e di riparare quelle poche ancora esistenti. La Seam Zone, infatti, da Israele viene equiparata all’Area C, in cui, secondo gli Accordi di Oslo, i territori palestinesi sono sottoposti alla pianificazione urbana dello Stato di Israele, il che, nella prassi amministrativa, implica il divieto quasi assoluto di costruzione o riabilitazione di edifici, pena la demolizione immediata. Con la conseguenza, per i palestinesi di questi villaggi, di vivere in condizioni abitative di sovraffollamento non consone agli standard qualitativi di vita riconosciuti dalle convenzioni internazionali. Al contrario, nelle stesse aree, Israele insedia colonie, sempre in crescita negli anni, in assoluta contravvenzione al diritto internazionale.

Ad Al-Nabi Samuel regole discriminatorie vigono anche sulla raccolta della spazzatura: quella “isareliana” viene rimossa quotidianamente, quella “palestinese” solo una volta alla settimana, attraverso dei mezzi  a cui è permesso di passare attraverso il checkpoint. Nel villaggio, un solo piccolo negozio, di proprietà di una giovane vedova, che però non vende alimenti di base: solo cioccolate, caramelle, succhi di frutta e pochi altri alimenti, tutti di produzione israeliana.

I bambini del villaggio non hanno un asilo e gli abitanti pensano di mettere su una tenda per questo motivo. La scuola si compone di una sola stanza di pochi metri quadri, unica nel villaggio, unita ad un prefabbricato, ed ospita circa 8 bambini per classi diverse delle scuole elementari. Gli altri bambini e ragazzi frequentano scuole in altri villaggi della Cisgiordania. La scuola si trova esattamente accanto ad una torre di controllo elettronica dell’esercito israeliano, il che spaventa i bambini.

La politica generale di Israele è quella di considerare il territorio proprietà di nessuno, con la conseguente confisca forzosa delle terre. Molti degli abitanti del villaggio se la devono vedere con il rischio costante di demolizione delle loro case e di trasferimento forzato, e devono quindi cercare di difendere il possesso delle loro terre presso la Corte di Giustizia israeliana, quando questo è possibile. Come per il caso di Haj Issa Ali Eid, 62 anni, che da anni ha a che fare con le corti israeliane: decine e decine di carte, mappe, notifiche, ingiunzioni e udienze davanti ai giudici. Con rabbia Haj Issa dice: “starò nel mio villaggio, morirò qui, e con me porterò la mia valigia”, intendendo la valigia piena di documenti che attestano la proprietà della sua terra. “Non rinuncerò, difenderò la mia terra, non darò via la mia terra, e non mi arrenderò”. Haj Issa racconta che tanti anni fa l’esercito israeliano lo ha “trasferito” dalla sua casa originaria vicino alla moschea del vilaggio, all’edificio in cui vive tuttora, per poi demolire la casa originaria. Ora ha la sola proprietà della terra, che difende coi denti di fronte alla Corte israeliana. Haj Issa racconta anche degli attacchi notturni che spesso riceve dall’esercito e dai coloni, che lo attaccano con cani addestrati per intimargli di lasciare il villaggio.

Israele considera il villaggio di Al-Nabi Samuel parte della rete del parco nazionale dedicato alla memoria del profeta Samuele, e per questo è anche arrivato a dividere la moschea del villaggio. I musulmani del villaggio hanno una sola porta per accedere alla moschea, che è aperta solo nei tempi di preghiera, laddove per gli ebrei e i coloni una seconda porta di accesso a quella che si considera la tomba del profeta Samuele è aperta tutto il giorno. Questo villaggio è importante altresì per la sua bellezza naturale ed archeologica, perchè localizzato in una zona strategica sopra un’alta collina che guarda Gerusalemme, ed attira tanti turisti. Ma è completamente off-limits ai Palestinesi e alle persone dei villaggi vicini. Le autorità di occupazione, di recente hanno addirittura demolito un caravan  usato per lavare le auto. Le incursioni dell’esercito israeliano con la loro brutalità hanno spinto la popolazione di Al-Nabi Samuel a trasferirsi altrove, per esempio nel vicino villaggio di Beit Iksa.

Che la costruzione del Muro sia contro la legge internazionale è un dato di fatto: nel 2004 la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che le sezioni del Muro costruite ad est della Green Line, inclusa l’area di Gerusalemme, insieme al regime di blocchi e permessi, violano gli obblighi internazionali dello Stato di Israele.  Lo stesso parere della Corte Internazionale di Giustizia richiede alla comunità internazionale di agire verso lo Stato di Israele, perché il parere sia applicato, cessi la costruzione del Muro e venga ripristinato il confine sulla Green Line.

Gli abitanti del villaggio di Al-Nabi Samuel fanno dunque appello a tutti, palestinesi, istituzioni internazionali e organizzazioni per la tutela dei diritti umani, a sostenere la loro resistenza su questa terra, e a chiedere che Israele rispetti la legge umanitaria internazionale e la Quarta Convenzione di Ginevra in tutto il Territorio Palestinese occupato.

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