Lavoro, donne e commercio equo e solidale – Intervista a Dani Ben Simhon

In occasione della visita dei partner del progetto Fair Trade Fair Peace in Italia, per la partecipazione a diverse iniziative che si svolgeranno nei prossimi giorni tra cui  FALACOAGIUSTA! 2014 (Milano 28-30 marzo 2014), abbiamo incontrato Dani Ben Simhon membro della cooperativa equo-solidale Sindyanna of Galilee e sindacalista di WAC- Worker Advice Centre.

Fair Trade Fair Peace è un progetto che vede coinvolti COSPE, la cooperativa israeliana Sindyanna of Galilee e la cooperativa palestinese Bethlehem Fair Trade Artisans. La collaborazione tra le due  organizzazioni facilita momenti di incontro tra donne e persone svantaggiate palestinesi ed israeliane, che insieme producono un linea artigianale di manufatti equo-solidali.

Lavoro, donne  e commercio equo e solidale: ci racconta in che modo la cooperativa Sindyanna of Galilee lavora in questi ambiti?

La cooperativa Sindyanna of Galilee è un’organizzazione di commercio equo-solidale che lavora principalmente con le donne della minoranza palestinese disoccupate che risiedono in Israele e che rimangono escluse dal mercato del lavoro. In totale i palestinesi di Israele sono circa 1.8 milioni, e l’organizzazione lavora a loro fianco, perché questa situazione influenza l’attuale economica dei palestinesi: più del 50% della minoranza è al di sotto della soglia di povertà. Le donne potrebbero cambiare la situazione, dando loro istruzione, formazione e competenze potrebbero migliorare la propria situazione economica e quella delle proprie famiglie, nonché della società in toto.

Un’altra attività portata avanti dalla cooperativa prevede l’apertura del mercato, nazionale ed internazionale, ai contadini arabi in Israele, per produrre e vendere i prodotti agricoli. La confisca delle terre, dovuta al conflitto, è molto comune e fortemente voluta dal Governo israeliano. Inoltre i contadini non riescono a mantenere gli appezzamenti perché sono un costo troppo alto, dunque noi li sosteniamo nella produzione e vendita di prodotti quali olio d’oliva, sciroppo di carrube, spezie, miele, mandorle, il tutto seguendo i principi del commercio equo-solidale. Siamo molto conosciuti dentro e fuori Israele perché, ad oggi, la nostra cooperativa è l’unica organizzazione di commercio equo-solidale presente nel paese.

Abbiamo una sede anche in Galilea, nel villaggio di Kuffarmanda, che comprende anche un centro visitatori, dove si tengono diversi corsi di arte ed artigianato e dove molti turisti vengono in visita per comprare i prodotti. È una grande esperienza per tutti; le donne possono iniziare ad “intrecciare un percorso comune”, mettendo da parte pregiudizi e i visitatori hanno la possibilità di vedere con i propri occhi che la convivenza tra arabi ed ebrei è possibile. Il nostro centro è diventato un esempio perché molte persone, all’interno di Israele, non la pensano come il governo, vogliono conoscere, collaborare e imparare dagli e con i palestinesi. Le donne che frequentano il nostro centro sono poi invitate ad essere ambasciatrici a seminari e festival, esse dimostrano che c’è la possibilità di cambiare l’attuale situazione offrendo un’alternativa.

Inoltre lei fa parte del WAC- Worker Advice Centre; di cosa si occupa e che tipo di collaborazione c’è con la cooperativa di Sindyanna?

Sindyanna collabora poi con il sindacato WAC, creando occasioni lavorative sia per ebrei che per arabi, senza badare alla religione professata oppure alle proprie ideologie politiche: ad ora siamo riusciti a trovare lavoro per circa 500 donne, soprattutto nell’ambito dell’agricoltura. Un’opportunità anche per chi non ha ricevuto un istruzione universitaria. Ogni anno 200.000 studenti arabi finiscono la scuola, la maggior parte di loro è costituita da donne e quando finiscono non hanno alcuna occupazione lavorativa.

Dal 2005 è inoltre in corso  una collaborazione tra WAC e Sindyanna con lo scopo di raccogliere fondi: abbiamo organizzato una mostra  permanente che si chiama “bread and roses”, che si tiene a Tel Aviv e che rappresenta un punto di ritrovo per tutti gli artigiani, arabi e israeliani. Vendiamo i prodotti e usiamo i soldi raccolti per aprire nuove possibilità lavorative, nuovi corsi di perfezionamento e di lingua.

Oltre a ciò ci muoviamo su un piano istituzionale, partecipando alle riunioni che si tengono in parlamento sul tema del lavoro, soprattutto per l’equità di genere, per cercare di influenzare ed esercitare lobby. Siamo convinti che influenzare le scelte de governo sia necessario per ottenere un cambiamento: la povertà non è un caso ma una politica specifica.

In Israele c’è anche una grande percentuale di rifugiati e di migranti, ben accetti dal governo perché così mantengono la minoranza palestinese ai margini economici della società. Qual è la loro situazione nel Paese e qual è il rapporto tra i migranti e i palestinesi?

I migranti e i rifugiati assumono un ruolo chiave per il mantenimento di questo modello economico in Israele. Attualmente ci sono circa 50.000 persone provenienti dal Sudan e dall’Eritrea, spesso si sente parlare di loro, le loro circostanze sono una tematica popolare ma non rappresentano il quadro completo della situazione. Sono circa 150.000 i lavoratori immigrati; per esempio i lavoratori thailandesi hanno avuto il permesso di entrare in massa ma ognuno di loro ha dovuto pagare 12.000 dollari per avere il permesso di soggiorno: diventano disperati e quindi accettano qualsiasi condizione lavorativa e salariale, sono come schiavi. Poi questi lavoratori, soprattutto in agricoltura, prendono il posto delle donne palestinesi, con la differenza che loro lavorano 18 -20 ore al giorno e con il minimo. Sia come Sindyanna che come WAC lavoriamo molto per far comprendere che la colpa non è di chi arriva in Israele in cerca di un lavoro, ma del governo che attua politiche lavorative inique- sia per i palestinesi che per i migranti.

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