LIBERE LE DUE COOPERANTI SPAGNOLE RAPITE NEL 2011

Dopo 21 mesi di prigionia, sono state liberate Montserrat Serra e Blanca Thiebaut, le due cooperanti spagnole rapite il 13 ottobre 2011 nel campo profughi di Dadaab, in Kenya.
Entrambe le operatrici umanitarie sono in buona salute e sono in attesa di riunirsi con i loro cari. Al momento del rapimento stavano lavorando alla logistica per la costruzione di un ospedale per i profughi somali con MSF.

Accogliamo con gioia la notizia della liberazione, già in un caso simile, quello di Rossella Urru, la cooperante italiana rapita in un campo rifugiati Saharawi Algeria, abbiamo affrontato questo tema delicato.

Un intervento di Fabio Laurenzi, presidente COSPE, sul difficile mestiere del cooperante ''Noi che facciamo questo mestiere da trent’anni, ogni volta che accadono questi episodi tremiamo, pensando alla difficoltà in cui molti nostri collaboratori e amici si trovano a lavorare e ai pericoli che tutti noi incontriamo perché la cooperazione è un mestiere bellissimo ma difficile e non neutrale''.

''Quando lavori su diritti umani, democrazia e pace come molte delle ong italiane, vai a toccare interessi importanti in ogni Paese, dove si fanno affari come con il land grabbing per esempio o dove singole e potenti lobby agiscono tanto più indisturbate nel curare i loro interessi tanto minori sono gli spazi di democrazia e di partecipazione.
Ma, proprio per questo, affiancare le popolazioni dei tanti Paesi del cosiddetto Sud del mondo nella ricerca del bene comune, da parte della nostra cooperazione internazionale è anche uno dei nostri migliori biglietti da visita''.

''Chi sceglie di partire e andare a vivere e lavorare in contesti di conflitto, se non proprio di guerra, sa di rischiare e non lo fa spinto da motivazioni economiche o di carriera. Medici, agronomi, economisti mettono le loro professionalità a servizio della cooperazione per passione, per curiosità, per una spinta principalmente civile e politica. Lo fanno con la convinzione e con gli strumenti teorici di poter essere parte attiva nei processi di cambiamento in atto nel mondo, mettendosi anche individualmente in gioco e confrontandosi con le persone e le associazioni locali''.

''Questo almeno è quello che intendiamo per cooperazione noi di COSPE che oggi conta 35 espatriati in circa 30 Paesi. Pur non lavorando in progetti di emergenza ci troviamo comunque in Paesi a rischio come Afghanistan, Somalia, Palestina ed Egitto e l’unico vero modo di salvaguardare tanto le persone espatriate che i collaboratori locali è quello di avere un rapporto continuativo con le rappresentanze, le ambasciate, i consolati che sono presenti nei vari Paesi, mantenere un atteggiamento rispettoso e cauto,costruire e intessere relazioni che ci permettono di leggere il territorio e di farne parte grazie alla fiducia reciproca''.

''Certo, non sempre questo ci mette al riparo da attacchi, come è accaduto in Niger o in Senegal, in particolare nella provincia di Casamance dove è ancora in corso una guerra civile di bassa intensità e dove alcuni nostri collaboratori sono stati coinvolti in conflitti a fuoco o come a Nairobi dove un’attivista somala dell’associazione Iida come Starlin Arush, è stata uccisa nel 2002. È però il metodo migliore: i cooperanti non sono quelli che 'se la vanno a cercare' ma sono persone che fanno con consapevolezza un mestiere che è anche una scelta di vita e che rappresentano la parte migliore della nostra società''.