Malalai Joya: l’Afghanistan che verrà. Intervista alla deputata afghana espulsa dal Parlamento lai

“Il silenzio delle persone perbene è più nocivo delle azioni dei malvagi”.  Ripete questo, infinite volte, Malalai Joya di fronte al pubblico e ai giornalisti che la assediano durante il meeting “I bambini, le donne. Affermare i diritti, esaltare i talenti. Avanzare nell’agenda del Millennio” voluto dalla Regione Toscana nel Parco di San Rossore gli scorsi 19 e 20 luglio.

Malalai Joya, deputata afgana, esautorata dalla sua carica nel maggio scorso fino al 2010 per aver definito “peggio di uno zoo o una stalla” il Parlamento e i suoi membri “criminali e nemici del popolo” durante l’intervista a una tv locale, è in visita in Italia per raccontare cosa sta succedendo a lei e al suo paese a 5 anni dalla guerra USA contro i Talebani e a due dalle elezioni democratiche che le hanno assegnato uno dei 249 seggi del Parlamento afgano (con 7813 voti).

In Afghanistan Malalai, è costretta a vivere come una latitante, sotto scorta, sempre nascosta dal burka, cambiando casa continuamente, lontano dalla sua famiglia. Da anni riceve minacce e, dopo l’esclusione dal Parlamento, la situazione è precipitata. “Non so quanti giorni mi restano da vivere -dice con una calma- i signori della guerra mi vogliono eliminare e sono potenti”. Ma la sua determinazione a lottare e soprattutto a tornare nel suo paese e soprattutto al suo ruolo di deputata è fortissima. “Quello che conta non sono io come persona, ma le mie idee. Ciò che rappresento: la voce democratica dell’Afghanistan. La morte è un rischio che devo correre ma lo faccio volentieri per questo ideale. E so che mi sopravviverà”.

Oltre ad essere una donna giovane coraggiosa e combattiva, Malalai, è ormai un vero e proprio simbolo. La sua lotta contro chi tiene soggiogato il suo popolo, contro chi usa armi, potere e religione per controllare le persone, contro chi nega diritti, istruzione, e in una parola contro i nemici della democrazia è, del resto, cominciata molti anni fa.

Membro dell’OPAWC (Organization of Promoting Afghan Women’s Capabilities) e assistente sociale nella provincia di Farah, nel 2003 fu chiamata dai suoi concittadini come delegata alla Loya Jirga, tradizionale gran consiglio afgano che doveva stilare la carta costituzionale del paese. Già allora Malalai prese la parola e, in un discorso divenuto poi celebre, denunciò i crimini dei “signori della guerra” che controllavano, e ancora oggi controllano, la Loya Jirga e i posti di comando del paese. Nel settembre del 2005 in Afghanistan si tennero le elezioni parlamentari e, grazie al suo impegno e al suo lavoro sul territorio, alla sua attività di sostegno concreto alla popolazione, al suo impegno per la democrazia e i diritti, Malalai fu eletta con largo consenso per rappresentare la sua provincia, nella Wolesi Jirga (la Camera dei Deputati afghana).

Dopo due anni di lotte e di minacce Malalai è stata espulsa dal Parlamento con un pretesto ma la sua battaglia continua anche fuori dai confini nazionali, appoggiata da RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan): fa appello a tutte le forze democratiche e chiede a gran voce un tribunale internazionale per giudicare i criminali di guerra che occupano ancora posti di potere politici ed economici e portare davvero giustizia e democrazia in un paese martoriato come l’Afghanistan.

La sua verità però è scomoda anche fuori dall’Afghanistan perchè darle ragione significa prendere posizione anche con i governi stranieri che questa democrazia -“farsa” dice lei- appoggiano. Primi tra tutti, naturalmente, gli Stati Uniti.

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Quando ha deciso di impegnarsi politicamente e pubblicamente?
Da quando facevo le scuole superiori e vivevo in un campo profughi in Pakistan. Ero la figlia maggiore e la nostra famiglia aveva problemi economici io mi sono messa a lavorare facendo corsi di alfabetizzazione con le donne e l’ho capito che mi volevo impegnare in questo senso. Quando sono tornata in Afghanistan, a 19 anni, ho cominciato subito a lavorare con OPAWC . Dopo il mio intervento nella Loya Jirga la mia vita ha avuto una svolta pubblica.

Che cosa si aspettava dalle elezioni del 2005?
Come molti afgani quello che desideravo erano elezioni democratiche e una svolta democratica ma sapevo che questo non sarebbe stato possibile, come può esserci democrazia sotto l’ombra delle armi, delle minacce? Mi sono candidata perchè la gente mi ha chiesto di candidarmi e ho pensato che questa fosse l’opportunità per strappare via la maschera ai fondamentalisti, ai signori della guerra arrivare fino in “casa loro” perchè loro siedono in Parlamento, siedono nei posti di potere.

Cosa vuol dire essere donna che fa politica in Afghanistan?
Ci sono due ostacoli a cui vanno incontro le donne: prima di tutto il governo afghano, antidemocratico e misogino, usa la religione, l’Islam, contro le donne. I fondamentalisti hanno bisogno della religione per mantenere il controllo. Il secondo problema è che le donne non sono istruite ne consapevoli dei loro diritti: d’altra parte ancora oggi molte donne muoiono di parto senza assistenza sanitaria, la loro aspettativa di vita è sotto i 45 anni; sono aumentati i casi di suicidi tra le vedove per evitare una vita di disperazione; sempre più spesso ci sono casi di bambine violentate e uccise? Nonostante tutto questo ci sono comunque donne che vanno a dimostrare e sfilare con i loro burka, come si vede nel film “Nemici della felicità” (Enemies of happiness è un film che la regista danese Eva Mulvad ha realizzato in Afghanistan nel 2005, ndr.). Ci sono 68 donne nel nostro Parlamento, più che in altre democrazie, ma molte di loro non sono corrotte, colluse con i fondamentalisti. Non capiscono che sto lottando anche per loro.

Vuole tornare a combattere la sua lotta per i diritti umani in Afghanistan sedendosi di nuovo in Parlamento. Ma il rischio per la sua vita è molto alto. Non ha pensato di combattere questa lotta in altro modo? In esilio, per esempio?
In tutto l’Afghanistan ci sono molte persone che mi sostengono, che rischiano la vita per me e la mia causa. Queste persone mi dimostrano tutti i giorni che sono dalla mia parte e non sono persone colte o istruite ma gente normale che capisce che io sto parlando per loro. Io sento una responsabilità molto forte nei confronti della popolazione afghana e anche nei confronti dei democratici di tutto il mondo che in modi diversi mi dimostrano appoggio e sostegno. Grazie a questo io capisco che sono dalla parte giusta e che devo tornare. Se non lo facessi per molti sarebbe una delusione. Io so che potrebbero uccidermi appena rientro e anche che ci stanno provando da tanto, ma so anche che le cose che sto dicendo sono più importanti della mia vita: parlo di diritti umani, diritti delle donne, di libertà. La morte? il rischio principale da accettare se tu credi in questi valori. É come vivere perennemente in lutto.

La mobilitazione internazionale agisce su due fronti: farla riammettere in Parlamento e far avanzare la richiesta di tribunale internazionale. Si sta muovendo qualcosa?
Per quanto riguarda l’espulsione dal Parlamento, la reazione del Governo è stata quella di chiusura: dicono di non volere interferenze da parte straniera? Il tribunale internazionale è un tema su cui sto lavorando da tempo con RAWA: l’associazione ha dei contatti importanti in molti paesi europei come l’Inghilterra è dove RAWA è riuscita a far condannare un criminale fondamentalista afgano creando un importante precedente – o la Spagna con Garzòn, il giurista che si è occupato anche di Pinochet e la corte internazionale di Hague (Olanda).

A questo proposito, il Parlamento Afgano ha recentemente emanato una legge sull’impunità. In che cosa consiste?
In seguito alla pubblicazione di un documento Human rights watch in cui si facevano i nomi di moltissimi fondamentalisti tuttora al potere, tutti si sono preoccupati della possibilità che venga istituito un tribunale internazionale che li giudichi come è accaduto per Saddam Hussein e hanno cominciato a cercare un modo per evitare di affrontare un processo. Niente di più facile dal momento che hanno fatto un accordo tra di loro e si sono “auto perdonati” con una legge sull’impunità che depenalizza i crimini di guerra a partire da 25 anni fa.

E come è visto il ruolo degli organismi internazionali e delle truppe straniere presenti in Afghanistan?
Milioni di dollari sono stati investiti in Afghanistan per la ricostruzione del paese ecc. ma quasi tutti vanno in mano ai fondamentalisti ad alimentare i loro affari o per mantenere i costi delle organizzazioni internazionali presenti in Afghanistan, quasi nessuno va a beneficio della popolazione. Dopo 5 anni tutto è come prima: i giornalisti vengono intimiditi, il popolo è più povero, aumenta solo la produzione di oppio e la corruzione del governo.

Il fondamentalismo non è anche vissuto come un modo per reagire agli “stranieri”?
No, la gente odia i fondamentalisti. Per fare un esempio vi racconto cosa è successo dopo la mia espulsione. Una tv ha usato una mia intervista in cui io accusavo i mujaeddin per dimostrare quanto io fossi stata poco rispettosa verso chi aveva lottato contro i gli invasori russi! Dopo questo servizio però un’altra tv ha fatto un’inchiesta per sapere se erano d’accordo con le posizione che avevo espresso verso i signori della guerra. L’80 % ha risposto che erano d’accordo con me. Alla domanda se fosse giusto che io tornassi in parlamento il 90% ha detto di sì. Ci sono continuamente esempi di quanto la gente sia dalla parte di quelli che chiedono giustizia e odi i fondamentalisti. Soltanto che molti temono i “signori della guerra” perchè loro hanno armi, hanno potere impongono le loro leggi. Questi signori della guerra hanno dei legami con Al Qaeda e usano l’Islam in nome delle loro strategie ma non hanno nessun posto nel cuore della gente afgana. La gente è dalla mia parte, dalla parte di coloro che dice la verità.

Che cosa chiede per sì e per il suo popolo?
Io sono in Italia a chiedere che tutti voi facciate pressione sul vostro Governo perchè faccia una politica indipendente da quella statunitense: il vostro appoggio e il vostro sostegno sono importanti perchè dare voce alla parte democratica dell’Afghanistan. Voglio che sappiate che se mi succede qualcosa saranno stati i criminali dell’Alleanza del Nord che mi avranno uccisa. Tornerò in Afghanistan e non so per quanti giorni sarò ancora in vita: Vogliono che chieda perdono per quello che ho detto ma non ho intenzione di farlo di fronte a quelle bestie. Ma anche se non ci sarò più vi chiedo di continuare questa battaglia e di fare pressione per un tribunale internazionale che faccia finalmente giustizia nel paese e che porti davanti a un tribunale tutti coloro che hanno commesso crimini contro la nostra gente. Questo sarebbe un passo enorme che ci darebbe molta forza. Le affermazioni e le accuse che io faccio sono tutte supportate dalle agenzie internazionali come Human Rights Watch, Amnesty International ecc? Abbiamo documenti a sostegno di tutto quello che ho detto ma è difficile per noi portare tutto questo avanti da soli. Per questo chiediamo aiuto: molto spesso il silenzio delle persone di buon cuore è peggio delle parole di quelle cattive.

Guarda sul blog le adesioni all’appello per far tornare Malalai in parlamento e le manifestazioni fatte in suo favore in tutto il mondo e tutti gli aggiornamenti: http://malalaijoyaitalia.blogspot.com

Intervista raccolta il 20 luglio 2007 da Pamela Cioni