Tunisia: anniversario amaro per la rivoluzione

Tunisia - COSPE

E’ un 17 dicembre quando cinque anni fa prende avvio il processo della rivoluzione tunisina, una data meno nota fuori dal paese per la rivoluzione che invece viene identificata con il 14 gennaio, data di partenza del dittatore Ben Ali. Una data spesso poco valorizzata anche all’interno del paese, ma che ci ricorda che la rivoluzione tunisina e le rivolte arabe scoppiate sulla sua onda provengono proprio dall’interno del paese, dalle regioni di Sidi Bouzid e Kasserine, per raggiungere poi le strade di Tunisi nel gennaio 2011.

 Dopo 5 anni nessuna manifestazione a Tunisi, pochi i simboli rimasti negli spazi pubblici a celebrare quell’evento e a ricordare i più di 300 martiri della rivoluzione, che insieme ai feriti e alle loro famiglie, ancora non hanno ottenuto giustizia.

Mentre il pericolo più eclatante viene identificato nel terrorismo e nell’islamismo radicale, il processo di recupero politico da parte della controrivoluzione che molti già avevano preconizzato in tempi non sospetti, nei primi mesi del 2011, continua a farsi spazio. E scuote soprattutto le fasce più giovani della società, strozzate dalle politiche liberticide attuate in nome della lotta contro il terrorismo e della sicurezza. Settore della sicurezza che assorbe risorse importanti anche della nuova legge finanziaria a discapito dei progetti di sviluppo e delle iniziative per la promozione dell’impiego basate su alternative reali. Nel frattempo la situazione economica e il tasso di disoccupazione aumentano drasticamente e ancora una volta colpendo in primis le regioni interne da cui nasceva la rivoluzione proprio per richiedere giustizia sociale e lotta alla corruzione e al clientelismo.

Come in altri contesti il terrorismo diventa pretesto per applicare leggi speciali e antidemocratiche, per reprimere il dissenso e mettere a tacere voci scomode. Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da un altissimo numero di arresti e operazioni delle forze dell’ordine, con un’escalation importante a partire dall’ultimo attentato che ha colpito la capitale tunisina nel mese di novembre e l’instaurazione dello stato di emergenza che ha legittimato gravi violazioni dei diritti umani e della vita privata. In nome dell’articolo 230 del codice penale, che criminalizza l’omosessualità, della famosa legge 52, che criminalizza il consumo di stupefacenti, dell’articolo 236, che criminalizza l’adulterio, della legge 57-3 che criminalizza la convivenza fuori dal matrimonio.

Per non dimenticare la legge antiterrorismo che permette qualsiasi abuso poliziesco, anche se contrario ai principi costituzionali. Il governo approfitta per fare un giro di vite anche sulla già scarsa libertà di circolazione di tunisine e tunisini, restringendo la concessione dei titoli di viaggio e privando arbitrariamente a molti di lasciare il paese, o per attaccare i migranti presenti sul territorio, spesso vittime di arresti e torture.

Un anniversario che ha il sapore amaro, e che rischia di far dimenticare le conquiste democratiche realizzate in questi anni e di cui la società civile tunisina rivendica ancora oggi l’applicazione reale.

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