Tunisia: un Nobel che fa discutere

Tunisia - COSPE

A Oslo è stato assegnato il premio Nobel per la pace alle quattro organizzazioni che hanno contribuito alla transizione democratica in Tunisia dopo la rivoluzione dei gelsomini nel 2011.

Un premio significativo, che valorizza un percorso segnato da traguardi importanti e distintivi nel post-primavere arabe” secondo Lara Panzani, responsabile Maghreb COSPE. “Speriamo sia un incoraggiamento a non fermarsi e a costruire un dialogo e una democrazia reali, per molti aspetti ancora lontani”.

Le reazioni a caldo sono positive, ma non senza una necessaria critica ed un’analisi che vada oltre i facili entusiasmi. “Quello del Nobel è un segnale positivo e importante, c’erano altre persone in lizza e, in questo senso è bene che abbia vinto questo quartetto della società civile” commenta Debora del Pistoia, responsabile COSPE in Tunisia, direttamente dal Sabir Maydan, il forum della Cittadinanza Mediterranea, adesso in corso a Messina.
Ma l’analisi è più profonda. “Nella notizia leggo anche di una Tunisia nuovamente strumentalizzata, adesso tutti parlano di un processo di transizione democratica che si è svolto in maniera eccellente, tutto perfetto, tutto secondo le tappe previste e in un ceto senso imposte dall’Unione Europea”.

“Il premio è emblematico. Perché in questo momento storico siamo anche in all’apice della repressione in Tunisia.  Quindi pur restando un buon segnale, quello che è più importante  è che non vada a bloccare delle lotte che sono ancora in corso e sono più vive che mai. La controrivoluzione non è solo in atto ma è già in fase avanzata.

Sempre dal Sabir Maydan, anche il commento di Kais Zriba, giornalista, blogger e attivista tunisino, del collettivo di giornalismo di base Inkyfada,  adesso ospite al Forum del Mediterraneo. Kais, che la rivoluzione l’ha fatta in prima linea, anche attraverso l’informazione e l’uso dei media, dice che queste organizzazioni premiate hanno avuto un ruolo importante ma la società civile è un’altra.  “La società civile è quella che scende in piazza ancora oggi  e che è scesa costantemente in tutti questi quattro anni per tenere saldo il processo in corso e portare avanti quotidianamente la lotta per i diritti”.

Il processo è tutto in atto e il futuro del Mediterraneo sempre più al centro. “Qua al Sabir stiamo parlando proprio di questo – conclude Debora – La cosa interessante che dopo l’avvio di questo processo, partito l’anno scorso, stiamo tornando sui contenuti, su cosa davvero voglia dire la cittadinanza mediterranea, perché ci sia un approccio che riesca a raccontare tutto il Mediterraneo, parlando di valori e diritti comuni e rispettando le diversità di tutti. Un messaggio importante che esce da questo incontro è che per dare vita a questo processo bisogna dare un segnale forte contro la guerra, anzi e le guerre del Mediterraneo dove per primi molti Paesi europei sono direttamente coinvolti e a cui si collega tutto il discorso dell’ondata migratoria”.

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