UN REALITY PER NON VEDERE LA REALTA’

Dopo la trasmissione di radio 24 'Nessun luogo è lontano' del 5 agosto alcune nubi addensate sul progetto televisivo 'Mission', prodotto dalla RAI, UNHCR e INTERSOS sulla vita dei rifugiati nei campi profughi di tutto il mondo con alcuni vip nostrani come testimonial, si sono diradate -perché finora se ne sapeva davvero poco oltre al titolo e ad alcuni degli ospiti: 'Non si tratta di un reality a eliminazione e premi ma un docu-reality, i cachet per i vip sono molto bassi, l’audience non importa l’importante è la sensibilizzazione, le persone che saranno riprese nei campi hanno accettato di buon grado di partecipare e non ci sono state forzature'. A parlare Antonio Azzalini della Rai e Marco Rotelli di Intersos, intermezzati dall’unica voce critica di Giulio Sensi che lo scorso giovedì sul suo blog l’Involontario
ha sollevato per primo la questione stimolando il web e il mondo della cooperazione a reagire.

Eppure alcuni dubbi sono rimasti, tutti, e soprattutto alcuni timori: è davvero questo l’unico modo per portare all’attenzione del grande pubblico temi come questi? E perché la RAI relega in ultima serata documentari e reportage che questo mondo lo raccontano lo stesso e si dimostra invece così solerte nel voler affrontare questi grandi temi con la tecnica dell’infotainment? Che tipo di informazione si potrà dare in un format patinato dove i protagonisti saranno i 'beniamini con cui il pubblico si riconosce' – per dirla con Azzolini. E sono davvero i vip (Albano, Emanuele Filiberto, Paola Barale i primi nomi trapelati) quelli in cui le persone si riconoscono? E, infine, non ci si accontenterà di emozionare e commuovere invece che raccontare le ragioni dietro a migrazioni forzate, guerre e conflitti o in generale dietro alle cause degli squilibri globali che le causano?

Purtroppo, ma speriamo di sbagliarci, 'Mission' sembra prodotto più che dalla voglia di sensibilizzare e portare alla ribalta questi temi, da un lato della deriva dei format televisivi che tendono a ritenere che il pubblico voglia solo questo tipo di prodotti, ingenerando un corto circuito culturale da cui è sempre più difficile uscire, dall’altra della crisi strutturale del settore cooperazione internazionale: il calo di donazioni private e di finanziamenti pubblici, oltre a una concorrenza spietata tra le ong, sembra stia riportando il livello della comunicazione delle ong, così come delle grandi agenzie internazionali (ONU), a un tipo di messaggio che pareva superato: più semplice, più emotivo e tendente al pietistico per raccogliere fondi puntando su concetti come beneficienza, opere buone e buona volontà.

Il mondo della cooperazione, così come le realtà e i contesti dove le ong lavorano, sono più complessi e la sfida per raccontarli è quella che ci poniamo ogni giorno cercando di stare in equilibrio tra un linguaggio per 'non addetti ai lavori', una corretta rappresentazione delle realtà e rispetto per le persone con cui lavoriamo, cercando di non cadere e non reiterare stereotipi e cercando infine di rappresentare un sud del mondo che non sia solo povero e disperato in attesa di un salvatore ma che abbia in sé le risorse, le potenzialità e le forze per farlo.

Ci auguriamo che 'Mission' non rappresenti quindi un punto di non ritorno per l’informazione pubblica ma che, magari, invece inauguri un nuovo corso della Rai che, se interessata a diffondere questi temi, non ha che da guardarsi intorno, esplorare davvero il mondo della cooperazione e soprattutto cercare dei modi nuovi per parlare alla gente che non è detto che preferisca i reality alla realtà.

Intanto è stata lanciata questa petizione
e ha raggiunto 8000 firme