Un’altra guerra inutile

Pubblichiamo un’analisi dell’attuale situazione in Palestina e Israele, dagli avvenimenti in Egitto all’aggressione sulla Striscia di Gaza, prodotta dai nostri partner israeliani di Sindyanna of Galilee.

Netanyahu l’ha cucinata, e il popolo la mangia

E’ come la replica di un film: sono passati meno di due anni dall’inizio dell’operazione Pilastro di Difesa, siamo nel bel mezzo dell’Operazione Margine Protettivo, e ancora una volta il primo ministro Benjamin Netanyahu promette anni tranquilli a venire. Molte persone si chiedono che fine ha fatto l’operazione di difesa che avrebbe dovuto assicurare felicità e prosperità. I missili e il codice rosso delle sirene confondono i pensieri, e non è facile capire come e perché siamo di nuovo incappati nella guerra, e come possiamo uscirne.

Al termine dell’operazione Pilastro di Difesa, entrambe le parti hanno sostenuto la vittoria. Al Cairo, Khaled Mashal, il leader di Hamas, dichiarava trionfante gli esiti della guerra, mentre Netanyahu e il Ministro della Difesa Ehud Barak ci avevano assicurato che gli obiettivi dell’operazione erano stati raggiunti. Anche questa volta da entrambi i lati verrà reclamata la vittoria.

A posteriori, sembra che la “vittoria” di Hamas sia stata il punto di partenza della sua sconfitta. L’eroe del momento era Mohammed Morsi, il presidente egiziano e leader dei Fratelli Musulmani. Ha ricevuto il sostegno degli Stati Uniti, in quanto ha promesso che il confine di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, sarebbe restato aperto ma sotto controllo, con una promessa a Israele e la prospettiva della riduzione dell’isolamento della Striscia.

Fin quando Morsi ha tenuto, è stato il garante del cessate il fuoco, ma poi, in un eccesso di megalomania, è andato troppo lontano, tentando di forzare l’ordine dei poteri nell’agenda islamica. Così i gruppi di giovani e progressisti che avevano portato alla destituzione di Mubarak si sono disgregati, le forze armate hanno complottato con alcuni di quegli stessi giovani disillusi, e il 3 luglio 2013 (sette mesi dopo la fine dell’operazione Pilastro di Difesa), si sono liberate di Morsi, hanno dichiarato organizzazione terroristica i Fratelli Musulmani, hanno rinnovato l’assedio di Gaza, e distrutto i “tunnel di contrabbando” che erano l’ancora di salvezza per l’economica di Hamas. Durante l’anno successivo, sono avvenute due cose degne di nota. Netanyahu ha avviato trattative con il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) sotto la supervisione del Segretario di Stato USA John Kerry, mentre Hamas ha perso le sue fonti di sostegno in Siria e Iran, a causa del suo sostegno all’opposizione di Bashar Assad in Siria.

Terreno scivoloso

Netanyahu ha fatto di tutto per sprecare il tempo prezioso che aveva, preferendo mantenere la sua coalizione con il Ministro dell’Economia Naftali Bennett invece di raggiungere un accordo con l’Autorità Palestinese (PA). Gli Stati Uniti e l’Europa non nascondono la loro delusione. Hanno incolpato Israele di aver fatto di tutto per far fallire i colloqui di pace. Alla fine dei negoziati falliti, è stata così offerta ad Hamas la possibilità di riconciliarsi con Abu Mazen. La Striscia di Gaza è sull’orlo del disastro umanitario, e la situazione di Hamas era disperata: il 40% di disoccupazione, 16 ore al giorno di interruzioni di corrente elettrica, la mancanza di acqua potabile, e circa 45.000 dipendenti pubblici senza stipendi.

La debolezza di Hamas ha consentito ad Abu Mazen di accettare il gesto di riconciliazione (con il nuovo governo di unità nazionale, ndt) anche se non prima di ottenere l’approvazione degli Stati Uniti. Dopo tutto, gli Stati Uniti finanziano la PA, e se Hamas vuole il finanziamento deve accettare i termini del banchiere. Così è nato un governo putativo, senza la presenza diretta di Hamas. Netanyahu all’inizio ha sostenuto Abu Mazen a far uscire Hamas dal suo isolamento e portarlo in Cisgiordania dalla porta di servizio, perché pensava che un governo palestinese accettabile per Hamas sarebbe stata l’occasione per lui di scrollarsi di dosso la sua immagine di “oppositore della pace”. Ha poi iniziato una campagna contro Abu Mazen, accusandolo di dare copertura al terrorismo. Eppure tutti i suoi sforzi per delegittimare il nuovo governo sono stati inefficaci. Alcuni del suo governo, tra cui Tzipi Livni (che ha incontrato Abu Mazen a Londra), hanno rifiutato di boicottare la PA e il suo leader. Anche il presidente Shimon Peres ha accettato l’invito di Papa Francesco a pregare insieme ad Abu Mazen.

Il rapimento che ha giocato a favore di Netanyahu

Per Netanyahu, il rapimento dei tre studenti della yeshiva è stata una occasione d’oro. Le stazioni televisive si sono allineate per fargli raggiungere i suoi scopi politici, mentre lui sceglieva il bersaglio. Anche se sapeva fin dall’inizio che i tre studenti non erano più in vita, ha creato enormi aspettative, ha fatto un uso cinico delle tre madri in lutto, e ha fomentato un clima di vendetta, al solo scopo di rafforzare la posizione pubblica della destra israeliana.

L’operazione Brother’s Keeper (quella della ricerca dei tre giovani coloni rapiti, ndt) non mirava solo a liberare i tre studenti e catturare i rapitori, ma ad eliminare Hamas, e qui sono stati gettati i semi del male. Hamas ha dichiarato di non essere responsabile del rapimento, per il semplice motivo che era impegnato in un governo di unità nazionale con Abu Mazen. Tuttavia, Netanyahu ha deciso di iniziare una guerra unilaterale contro Hamas, certo che Hamas non avesse modo di difendersi. Come ha fatto il Generale Sisi in Egitto prima di lui, Netanyahu ha deciso di fare qualcosa per schiacciare Hamas in Cisgiordania. Per questo motivo è andato contro gli impegni assunti nell’Accordo Shalit, catturando e imprigionando di nuovo esponenti di Hamas già liberati. Soffrendo enormi difficoltà economiche, e non avendo reali sponsor nel mondo arabo, Hamas ha le spalle al muro. Netanyahu ha deciso di sfruttare la sua fortuna e approfittare di questa situazione per far cadere il governo di unità nazionale palestinese. Come in tutte le operazioni, però, qualcosa è andato storto. Dopo la scoperta dei corpi dei tre studenti – e incitati da Netanyahu e dai membri della coalizione al governo – alcuni giovani si sono fatti avanti per vendicarsi. Hanno rapito Mohammed Abu Khdeir, lo hanno costretto a bere benzina, e poi lo hanno bruciato vivo. Adesso Gerusalemme è ancora una volta divisa a causa della violenza, e la gioventù araba nella regione di Um al-Fahm (“il Triangolo”), in Galilea e nel Negev sta sfogando la sua rabbia su tutto ciò che incontra. Questa non è una terza Intifada, perché non ha una leadership. Non è altro che una reazione spontanea contro gli attacchi sugli arabi, contro la legislazione razzista di Israele, contro la morte arbitraria di bambini uccisi da soldati annoiati, contro l’umiliazione ai checkpoint – in breve, contro l’oppressione. Hamas sa che questo è il suo momento, e sta cercando di riconquistare il suo onore perduto al fine di fermare Netanyahu e allontanarlo dalla Cisgiordania.

La guerra attuale non ha altro obiettivo che quello di rafforzare le ragioni dello Stato di Israele e di far tacere l’opposizione all’occupazione israeliana della Cisgiordania. Anche se Israele bombarda Gaza e uccide civili innocenti, non ha alcuna intenzione di eliminare Hamas, perché l’alternativa sarebbe l’anarchia a Gaza, e l’anarchia porterebbe al Jihadismo. Questa è una guerra politica da parte di un governo di estrema destra, che mira a rendere l’occupazione permanente. Netanyahu vuole israeliani abituati ad avere “schegge nel loro culo” (testuali parole del Ministro Naftali Bennett) vale a dire, qualcosa che li infastidisce di tanto in tanto, ma con cui si può convivere. Ma il rapimento dei tre giovani dimostra che l’occupazione non è il dolore di una vecchia ferita, ma una ferita aperta e infetta, e che la vita tra ebrei e arabi sta diventando insopportabile, portando sull’orlo dell’anarchia. L’incendio del ragazzo palestinese Mohamed Abu Khdeir è un avvertimento per tutti coloro che temono per il futuro di Israele.

Far cadere il governo di Netanyahu

Durante l’estate del 2011, c’era la possibilità di cambiare l’agenda politica di Israele e far cadere il governo dei magnati, ma i leader del movimento di protesta hanno scelto di concentrarsi sul prezzo della ricotta e degli alloggi, rifiutandosi di occuparsi dell’occupazione e delle colonie. Poi il leader del partito laburista Shelly Yachimovich ha fatto del dialogo con i coloni la sua raison d’être, mentre Yair Lapid, il leader di Yesh Atid, si è presentato con il suo nuovo amico Naftali Bennett. Così ci siamo ritrovati con un governo ancora più di destra, pur dopo la protesta (dei movimenti Occupy, ndt).

Oggi stiamo vivendo i risultati di questa “fratellanza sionista” che ha portato i coloni nel mainstream e ha reso legale il razzismo. Gli eventi tragici del momento sono anche un’opportunità di cambiamento. Il modo per farlo è quello di far cadere questo governo di destra. Non ci può essere coesistenza con i coloni, e non ci può essere coesistenza con il razzismo. Per far cadere questo governo, abbiamo bisogno di un’alleanza tra quei partiti sionisti e arabi che aspirano a una società giusta e cercano la fine dell’occupazione. Finché c’è un divario tra ebrei e arabi, la destra israeliana continuerà a prendersi beffa di noi, trascinandoci in guerre inutili che nessuna società umana dovrebbe tollerare.

di Yacov Ben Efrat traduzione di Giulia Spataro

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